Gli strumenti finanziari per l'imprenditoria inclusiva: il caso dei migranti

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Europa

Gli Strumenti Finanziari Per L’imprenditoria Inclusiva:
Il Caso Dei Migranti

Tiziana Lang
Ricercatrice Anpal, Esperta Di Politiche Del Mercato Del Lavoro

Abstract

Financial instruments, inclusive entrepreneurship, self-employment, migrants, COVID-19, microfinance, programming period 2021-2027, InvestEU. Drawing on recent publications, the article describes the main aspects of the public policies to promote entrepreneurship and self-employment of migrants in view of their social and labour inclusion. Among the financial instruments microfinance and some good practices are observed. Financial instruments for social inclusion in the 2021-2027 programming period between structural funds and InvestEU are briefly illustrated.

Key Words:

immigrazione, inclusione, impatto COVID-19, imprenditorialità, autoimpiego, strumenti finanziari, programmazione 2021-2027, InvestEU

1 I migranti in Europa

1.1 Gli effetti della pandemia

Nell’ultimo rapporto sugli sviluppi occupazionali e sociali in Europa1 pubblicato a giugno 2021 dalla Commissione Europea viene esaminato l’impatto sociale e occupazionale della pandemia nei diversi Paesi membri e trasversalmente alla popolazione. Ne emerge un quadro con diverse asimmetrie, sia tra Paesi sia in relazione alla popolazione. In particolare, alcuni gruppi di popolazione, che già in precedenza presentavano differenze nei livelli di inclusione, ad esempio, condizioni abitative e di lavoro meno favorevoli, o che riuscivano a godere di un sostegno sociale ridotto rispetto ad altri gruppi, hanno vissuto un peggioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro derivanti dalle limitazioni imposte dalle misure di distanziamento sociale e blocco delle attività. Tra questi gruppi troviamo i migranti o le persone appartenenti a gruppi etnici minoritari (rom).

I rischi ai quali si sono trovati esposti nella pandemia e nella successiva crisi socio-economica hanno riguardato soprattutto l’accesso ai servizi pubblici (come quelli medico-sanitari, o per l’impiego, istruzione, etc.) e le forme di sostegno del reddito.

Al contempo, i migranti che rappresentano una quota significativa della cosiddetta forza lavoro “essenziale” (servizi essenziali ad alta intensità di contatto), sono stati esposti a un maggior rischio di infezione, come pure di disoccupazione o inattività, derivanti dalla pandemia e dal lockdown, “Evidence suggests that the health risks due to COVID-19 have been more severe for migrants, especially those born outside the EU, due to higher incidence of poverty, overcrowded housing and higher concentration in jobs where physical distancing is difficult.”2

Le discriminazioni sperimentate nella pandemia gli immigrati nati al di fuori dell’Unione Europea hanno riguardato sia le condizioni di lavoro, con occupazioni meno remunerate e più svantaggiate, nei settori economici più colpiti3 e meno telelavorabili (la percentuale di immigrati in grado di lavorare a distanza è di almeno 5% inferiore a quella di coloro che sono nati in Europa4) sia le condizioni di vita con livelli di povertà più elevati rispetto al complesso della popolazione (i migranti hanno maggiori probabilità di sperimentare la povertà relativa, con un differenziale di circa 10% rispetto ai nativi europei); con maggiori probabilità di vivere in alloggi al di sotto degli standard, in abitazioni sovraffollate e in infrastrutture e quartieri a più alta densità, con una minore protezione nei confronti del coronavirus anche a causa dei bassi tassi di vaccinazione (spesso derivanti dalla condizione di irregolarità). In relazione alla diffusione della pandemia da COVID-19, la sovra rappresentazione degli immigrati è segnalata nel rapporto dell’OCSE con dati provenienti da alcuni Paesi europei: “[…], for instance in Sweden, where 32% of cases were migrants (who constitute 19% of the population) as well as in Denmark, where migrants from lower-income countries and their native-born children account for 18% of the infected – twice as many as their share of the Danish population. In the Lisbon Metropolitan Area, migrants account for 11% of the population but for 24% of COVID-19 infections by the third quarter of 2020.”5

Infine, la sospensione delle attività scolastiche e formative durante il lockdown ha avuto effetti più negativi sulle famiglie di immigrati. I sistemi d’istruzione dei vari Paesi membri hanno applicato soluzioni di apprendimento a distanza, come l’insegnamento online e il computer, che hanno penalizzato maggiormente i figli di immigrati a causa della minore disponibilità di attrezzature informatiche, connessione internet in casa, spazi domestici riservati allo studio.

1.2. Il mercato del lavoro

Preliminarmente è opportuno evidenziare la rapida diminuzione dei flussi migratori permanenti nell’anno della pandemia. Come segnalato dall’OCSE6, si è registrato un calo di oltre il 30% in termini sia assoluti che relativi, ma il dato potrebbe essere di molto superiore (fino al 40% in media) se si considera che nella migrazione internazionale si considerano sia i nuovi ingressi sia le transizioni tra Paese e Paese. In Europa la riduzione si è attestata al -27% in media, con la Germania che ha ricevuto 460.000 immigrati permanenti nel 2020, con un calo relativamente modesto rispetto agli altri Paesi dell’OCSE (-26%), in parte spiegato dalla grande quota di immigrati in ingresso da altri Paesi dell’UE. Al contrario la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e l’Italia hanno osservato il calo più elevato nell’Unione (-38%). Nel nostro Paese, ad esempio, la differenza è pari a circa 100.000 unità rispetto al 2018 e oltre 250.000 rispetto al 2011. (Tab. 1)

Sempre l’OCSE esamina accuratamente la condizione dei migranti nel mercato del lavoro “la crisi economica scatenata dalla pandemia da COVID-19 ha messo fine a 10 anni di continui progressi nel mercato del lavoro degli immigrati. […] Nel 2020, i tassi di occupazione degli immigrati sono diminuiti in tre su cinque Paesi OCSE, mentre la disoccupazione è aumentata in tre Paesi su quattro”. Il tasso di occupazione medio degli immigrati nei Paesi OCSE nel 2020 è diminuito di 2,1% rispetto al 2019, ma nonostante questo più di due terzi degli immigrati risultavano occupati. La ricerca attiva di lavoro è stata più frequente tra gli immigrati rispetto a nativi europei (uno su dieci contro uno su quindici). La diminuzione dell’occupazione ha riguardato sia donne che uomini senza differenze significative. Semmai la differenza più marcata si registra tra le persone immigrate con un’istruzione medio-bassa rispetto a quelle con un’istruzione medio-alta nel settore economico di riferimento. Infatti, il tasso di occupazione degli immigrati è diminuito più di quello dei cittadini europei nei settori più colpiti ma è aumentato in misura maggiore nei settori che hanno sperimentato una crescita complessiva dell’occupazione.

Secondo la Commissione Europea, però, la maggior esposizione del gruppo dei migranti alla precarietà e vulnerabilità nell’occupazione, era un fenomeno presente già prima della pandemia e derivante da: l’arrivo recente nei Paesi di immigrazione, le difficoltà linguistiche, alcune barriere istituzionali all’ingresso nel mondo del lavoro, l’informalità dei contratti, il sotto-inquadramento e il mancato riconoscimento delle competenze effettivamente possedute. Queste condizioni implicano l’accesso a retribuzioni meno elevate da parte degli immigrati che, spesso, reindirizzando i loro guadagni verso i Paesi di provenienza riescono a trattenere cifre esigue nei Paesi ospitanti, con una ridotta capacità di sostenere periodi di disoccupazione prolungati (come quello causato dalla crisi pandemica, in particolare, nel 2020).

I dati dell’indagine sulle forze di lavoro di Eurostat mostrano un forte aumento del tasso di disoccupazione della popolazione totale a partire dal terzo trimestre del 2020. Mentre l’aumento del tasso di disoccupazione dei cittadini europei nati nell’UE (0,8%) segue da vicino ed è in effetti un po’ più basso del cambiamento del tasso di disoccupazione totale (0,9%), l’aumento del tasso di disoccupazione degli immigrati extracomunitari è di circa mezzo punto percentuale superiore a quello degli altri gruppi (1,3%). Il tasso di disoccupazione degli immigrati extracomunitari mostra anche in generale una maggiore volatilità ciclica superiore a quella di altri gruppi di popolazione. (Graf. 1)

C’è da considerare, inoltre, che nella crisi pandemica gli immigrati non sono potuti ricorrere a quella flessibilità tra settori o quella mobilità geografica che spesso caratterizzano il loro comportamento lavorativo. Le limitazioni alla mobilità durante i vari lockdown non hanno consentito loro di cogliere le opportunità di lavoro in altre regioni/Paesi con un impatto negativo sia sul reddito sia sui mezzi di sussistenza, nonché sulle economie dei loro Paesi di origine.

Tra le misure di supporto ai migranti nella crisi pandemica, oltre all’accesso ai trattamenti di emergenza e la protezione da COVID-19, in alcuni Paesi è stato facilitato il riconoscimento delle qualifiche per l’accesso all’occupazione.

In Finlandia, i lavoratori stranieri con un permesso di soggiorno valido sono stati autorizzati a cambiare datore di lavoro o settore lavorativo fino all’ottobre 2020, in Belgio i richiedenti asilo sono stati autorizzati a lavorare da subito; analogamente, la Spagna ha consentito ai giovani immigrati tra i 18 e i 21 anni di lavorare, Irlanda, Francia e Belgio hanno permesso agli studenti internazionali di lavorare più ore di quanto previsto dalla normativa non emergenziale. Per far fronte all’emergenza sanitaria, alcuni stati membri dell’UE (Spagna, Belgio, Germania, Francia, Irlanda, Italia e Lussemburgo) hanno facilitato il riconoscimento delle qualifiche dei professionisti sanitari stranieri già residenti nel Paese e/o la loro assunzione nei servizi sanitari nazionali. Da segnalare, infine, il riconoscimento dell’idoneità per la regolarizzazione ai migranti irregolari nei settori ad alta intensità di contatto (ad es. nell’agricoltura e assistenza domestica) nel post pandemia. In Germania, invece, tra le politiche attive del lavoro offerte ai migranti anche le misure di sostegno per l’avvio e il consolidamento di impresa e lavoro autonomo.

1.3. Il lavoro autonomo

Il lavoro autonomo offre agli immigrati un’alternativa al lavoro retribuito dato che molti incontrano ancora barriere all’ingresso nel mondo del lavoro, come il riconoscimento delle competenze e qualifiche possedute. Il sostegno pubblico al lavoro autonomo e imprenditoriale degli immigrati ha avuto da sempre l’obiettivo specifico dell’integrazione economica e sociale nei Paesi di immigrazione. A fine novembre è stato lanciato il rapporto che Ocse e Commissione Europea dedicano con cadenza biennale alle politiche per l’imprenditorialità e il lavoro autonomo inclusivi8. Nella Tabella 2 i Paesi dell’UE sono clusterizzati per tipologia di “attenzione” all’inclusione nelle politiche per l’imprenditorialità. L’Italia risulta tra quelli che dedicano maggiore attenzione a queste politiche.

In questa definizione sono riassunte l’insieme delle politiche che i governi centrali e locali mettono in atto per aiutare alcuni gruppi di popolazione, che affrontano ostacoli specifici (spesso anche maggiori dei nativi) a mettersi in proprio e creare o sviluppare le proprie attività d’impresa o autonome. Si tratta di donne, giovani, migranti, persone con disabilità, anziani e disoccupati che decidono di intraprendere la strada dell’imprenditoria e dovrebbero in tal modo accedere alla protezione sociale, affinché il progresso economico proceda in parallelo a quello sociale. In particolare, nel menzionato rapporto si mette in luce l’impatto negativo della crisi pandemica sui lavoratori autonomi, soprattutto su quelli che hanno avuto difficoltà ad accedere alle misure di compensazione del reddito introdotte dai governi. (Graf. 2)

Tra i numerosi dati ed evidenze del rapporto (utilissime le schede Paese9), anche quelli sull’imprenditorialità e il lavoro autonomo degli immigrati. La prima considerazione è che negli ultimi dieci anni (2011-2020) tra i lavoratori autonomi nell’Unione europea la quota di immigrati è passata dal 6 all’11%, in gran parte guidata dall’aumento di flussi migratori. Gli imprenditori immigrati però sono un gruppo eterogeneo di proprietari di imprese che operano in tutti i settori e comprendono i microimprenditori, con piccole attività autonome, ma le imprese che operano in più Paesi. La funzione dell’imprenditorialità degli immigrati nelle economie dei Paesi di immigrazione è particolarmente importante perché può facilitare il trasferimento di innovazione tra Paesi e contribuire a creare posti di lavoro, in primo luogo, quello dei neo-imprenditori che vedono nel lavoro autonomo l’unico mezzo per guadagnarsi da vivere, o per uscire da un lavoro a basso salario o da una situazione di discriminazione. Gli immigrati che avviano un’attività autonoma spesso lo fanno in settori caratterizzati da basse barriere all’entrata e forte concorrenza, con alta intensità di lavoro e bassi profitti (ad esempio, i piccoli mercati etnici di specialità alimentari in una specifica zona).

La pandemia da COVID-19, in particolare il blocco totale o quasi delle attività d’impresa, ha colpito pesantemente le imprese e in particolare le piccole attività degli immigrati che hanno avuto meno accesso alle risorse compensative degli imprenditori nativi. Le imprese possedute da immigrati, spesso sovrarappresentate nei settori che sono stati più pesantemente colpiti dalle misure di contenimento, hanno maggiormente risentito della crisi. Come nel caso della Danimarca, Germania, Lussemburgo e Svezia dove gli immigrati rappresentano oltre il 40% del lavoro autonomo nel settore dell’ospitalità10. Un altro effetto della pandemia si è visto nel rientro dei migranti nei Paesi di origine; a livello globale, si stima che diversi milioni di persone siano tornate temporaneamente nel loro Paese d’origine durante la fase iniziale della pandemia.

Per quanto concerne le sfide e disincentivi all’avvio di attività autonome, sicuramente l’accesso alle risorse finanziarie costituisce un ostacolo sproporzionato per gli imprenditori immigrati, che spesso non hanno a disposizione un capitale iniziale anche a causa di diversi fattori tra i quali: bassi livelli di risparmio, bassi livelli di reddito, mancanza di garanzie.

Un’ulteriore barriera di accesso per gli immigrati è rappresentata dalla difficoltà di dimostrare una storia di credito. In proposito, le istituzioni finanziarie segnalano anche che gli immigrati spesso possiedono livelli di alfabetizzazione finanziaria insufficienti11 e, di conseguenza, possono trovarsi nella condizione di non riuscire a identificare le possibili fonti di finanziamento per lo start-up di impresa, né come richiedere il finanziamento o presentare la propria idea imprenditoriale (business plan). Infine, ma non ultimo, una barriera al fare impresa per gli immigrati è rappresentata dalla carenza di competenze linguistiche che può rendere più complessi i rapporti con le piccole reti di impresa locali o con le associazioni imprenditoriali di settore che richiedono la conoscenza di regolamenti e norme.

Eppure, sempre secondo il rapporto congiunto della Commissione e dell’OCSE, la rappresentazione dell’imprenditorialità degli immigrati sta cambiando. Sono aumentate lievemente le attività condotte da immigrati, imprese o lavoro autonomo, che operano nei settori dell’istruzione e dei servizi, a fronte di una riduzione nell’agricoltura e nei servizi di alloggio e ristorazione. Inoltre, si è osservata una forte crescita nel numero di studenti internazionali che diventano imprenditori. La percentuale di immigrati con un’istruzione terziaria è aumentata in quasi tutti gli Stati membri dell’UE, con una media di +7% nel periodo considerato, con il risultato che gli immigrati sono più istruiti dei non immigrati in circa la metà dei Paesi dell’Unione. Tale “sorpasso”, tuttavia, non è riscontrato tra gli imprenditori; in Svezia, ad esempio, è stato rilevato che il 33% degli imprenditori nativi ha una istruzione terziaria contro il 28% degli imprenditori immigrati12. Inoltre, il 46% degli immigrati lavoratori autonomi con imprese registrate hanno un’istruzione terziaria, contro il 31% di quelli che guidano imprese non registrate.

L’immigrazione ha creato inoltre effetti di spill-over positivi sulle attività innovative e sulle economie locali. Uno studio tedesco ha rilevato che gli imprenditori immigrati sono più innovativi degli imprenditori tedeschi e che gli immigrati hanno maggiori probabilità di avviare imprese in team a vantaggio dell’innovatività13 ma, anche, che gli imprenditori immigrati sono in media leggermente più giovani dei nativi al momento di avviare la propria azienda, con una propensione al rischio più elevata.

Il livello crescente di competenze dei migranti ha posto i governi di fronte alla scelta di sostenere o meno queste capacità e di attrarre quei migranti che con le loro attività possono avere un impatto significativo sull’economia dei Paesi di immigrazione. Particolare attenzione, da ultimo, hanno suscitato le diverse forme di imprenditorialità degli immigrati che abbracciano diversi Paesi poiché queste attività possono efficacemente trasferire l’innovazione tra Paesi, ad esempio, le reti di attività commerciali che utilizzano la tecnologia digitale per operare indipendentemente da una sede (c.d. “nomadi digitali”).

2.Gli strumenti finanziari per l’inclusione e l’innovazione sociale

2.1 I migranti potenziali clienti della microfinanza

Uno dei problemi che incontrano gli immigrati per l’avvio di attività in proprio, come accennato al par. 1.3, è l’accesso ai finanziamenti. Il grafico n. 3 mette a confronto gli schemi di finanziamento per l’imprenditoria rivolti ai target “deboli” e quelli rivolti agli immigrati. In tutta l’Unione gli schemi di supporto all’imprenditorialità degli immigrati sono meno sviluppati di quelli degli altri beneficiari, per tutte le tipologie di finanziamento considerate (sovvenzioni per la creazione d’impresa, garanzie sui prestiti, microfinanza e prestiti, crowdfunding, capitale di rischio).

Spesso gli schemi di finanziamento si concentrano sulle piccole sovvenzioni o sull’agevolazione dell’accesso al credito/prestito che pur utili ed efficaci per il fine ultimo (creazione di impresa), tuttavia, spesso sono carenti di servizi aggiuntivi di formazione, accompagnamento e alfabetizzazione finanziaria. Tra gli strumenti finanziari che si sono dimostrati più efficaci e diffusi la microfinanza che è cresciuta rapidamente come strumento a supporto degli imprenditori dei gruppi sottorappresentati e svantaggiati per l’accesso a finanziamenti per lo start up. Tra i gruppi più serviti dai prodotti di microfinanza le donne, i giovani, i disoccupati e gli immigrati. Secondo stime recenti, il mercato globale della microfinanza è di circa 124-137 miliardi di euro e dovrebbe raddoppiarsi entro il 202714. Il mercato dell’UE dovrebbe raggiungere circa 90 miliardi di dollari (circa 77 miliardi di euro) entro il 2027, per un valore prossimo al 23% del mercato globale.

Come ricordato dal rapporto OCSE-Commissione Europea, l’Unione Europea promuove lo sviluppo di strumenti e programmi di microfinanza che mirano all’inclusione finanziaria e sociale dei beneficiari finali, ma anche alla creazione di posti di lavoro. Lo sviluppo della microfinanza è stato rapido. In molti Paesi europei, la microfinanza si sta gradualmente consolidando come uno strumento di politica sociale essenziale per la promozione del lavoro autonomo, il sostegno alle microimprese e la lotta contro l’esclusione sociale e finanziaria. Il settore ha registrato una crescita significativa nell’ultimo decennio, con il sostegno finanziario e tecnico della Banca europea per gli investimenti (BEI) e della Commissione europea. Tuttavia, l’offerta di microfinanza è insufficiente a coprire la domanda annuale (mancherebbero circa 14 miliardi di euro)15.

La pandemia ha giocato un ruolo nell’aumento della domanda insoddisfatta nel mercato. Le istituzioni di microfinanza hanno incontrato difficoltà nell’erogazione dei fondi a causa dei vari lockdown e coprifuoco che hanno interrotto le attività delle imprese provocando una rapida e perentoria caduta dei redditi dei beneficiari di microfinanza, rendendo quasi impossibile la raccolta dei rimborsi e gli incontri con i clienti dedicati al monitoraggio delle attività imprenditoriali e all’offerta di servizi di supporto allo sviluppo e consolidamento delle imprese. Nel caso delle imprese di immigrati, un approccio adottato dalle istituzioni di microfinanza, che sembra aver avuto successo, è stata la collaborazione con organizzazioni specializzate nel settore dell’immigrazione, ossia, con una storia di lavoro con le comunità di immigrati. Tale collaborazione ha migliorato la percezione dell’importanza del supporto offerto dallo strumento finanziario all’inclusione degli imprenditori immigrati e dei loro nuclei familiari grazie alla fiducia preesistente con quelle organizzazioni.

2.2 Gli strumenti finanziari per l’inclusione sociale

La politica coesione nella programmazione 2021-2027 persegue cinque obiettivi di policy: un’Europa più intelligente; un’Europa più verde e a basse emissioni di idrocarburi; un’Europa più connessa; un’Europa più sociale; un’Europa più prossima ai cittadini. Il nuovo Fondo sociale europeo Plus (FSE+) contribuisce al conseguimento dell’obiettivo “sociale” attuando i principi prioritari del Pilastro europeo dei diritti sociali, si concentra sugli investimenti nelle persone per rispondere alle sfide globali, mantenere l’equità sociale ma anche per portare avanti la competitività dell’Europa.

A tal fine, le risorse saranno impegnate nella creazione di posti di lavoro, nell’istruzione e nella formazione (in particolare per le transizioni verde e digitale), nell’inclusione sociale, nell’accesso all’assistenza sanitaria e nelle misure volte all’eradicazione della povertà, in particolare nell’infanzia. Con l’avvento della pandemia e l’esplodere della crisi economica e sociale, le misure del FSE+ sono state rafforzate. Il budget del FSE+ è pari a 99,3 di euro dei quali: 98,5 miliardi in gestione condivisa e attuati dagli stati membri, e 762 milioni di euro a gestione diretta dell’UE e attuati a livello dell’Unione.

Le risorse sono distribuite secondo una concentrazione tematica: 25% per l’inclusione sociale, 3% per il contrasto alla deprivazione materiale, il 5% per la lotta alla povertà dei bambini (nei Paesi con tassi di povertà infantile al di sopra della media UE, tra i quali l’Italia), il 12,5% per l’occupazione giovanile (nei Paesi con tassi di disoccupazione giovanile superiori alla media UE tra i quali l’Italia).

Oltre alle forme di sostegno e supporto per l’inclusione, il FSE+ interviene anche intensificando la promozione di lavoro autonomo e autoimpiego, con apposite misure dedicate all’avvio di impresa, con attività di accompagnamento e strumenti finanziari di supporto allo start up.

Nell’ambito del FSE, gli strumenti finanziari hanno dimostrato - anche durante la pandemia - di essere un meccanismo di finanziamento resiliente con 182 milioni di euro erogati a circa 8000 beneficiari finali a tutto il 2020.

Nella tabella 3, si osserva come la maggioranza dei soggetti supportati sono piccole e medie imprese, delle quali il 92% sono microimprese. Numerosi Paesi membri si sono concentrati sulle imprese (tra questi: Cechia, Germania, Ungheria, Lituania, Bulgaria e Polonia) mentre altri, come Malta, hanno sostenuto solo le singole persone. Quanto a tipologia di prodotti: la stragrande maggioranza degli strumenti finanziari nell’ambito del fondo sociale europeo sono prestiti e microprestiti. In particolare, gli strumenti di microcredito hanno erogato ai beneficiari finali circa 60 milioni. In Germania, Polonia, Portogallo e Slovacchia gli strumenti finanziari hanno erogato azioni mentre a Malta e in Portogallo hanno fornito garanzie.

Un impegno rinnovato della Commissione Europea per il bilancio pluriennale 2021-2027 concerne il sostegno all’economia sociale attraverso le risorse del Fondo sociale europeo Plus e del programma InvestEU. È stato così riconosciuto il contributo che economia sociale e imprese sociali possono offrire al contrasto delle principali sfide sociali quali, ad esempio, il cambiamento climatico e le crescenti disparità. Entro la fine del 2021, la Commissione intende presentate il Piano d’azione per l’economia sociale con il quale proporrà misure concrete per attivare tutto il potenziale dell’economia sociale. Grazie al sostegno fornito nel tempo sia a livello europeo che nazionale, soprattutto attraverso il programma per l’occupazione e l’innovazione sociale (EaSI), sempre più intermediari e investitori hanno avuto modo di conoscere il ruolo e il valore delle imprese sociali e si sono impegnati nell’erogazione di finanziamenti rimborsabili, nonché nelle attività di sostegno allo sviluppo aziendale e assistenza alla gestione. Ciò nonostante, in Europa esiste ancora un mismatch tra la domanda e l’offerta di finanziamenti rimborsabili per le imprese sociali (v. par. 2.1). Nelle intenzioni della Commissione, il programma InvestEU deve affrontare anche il gap finanziario e quello delle attività di consulenza e accompagnamento.

Le sole sovvenzioni, infatti, non possono risolvere i significativi divari di investimento. Il Regolamento (UE) 2021/106016 rende più facile combinare sovvenzioni e strumenti finanziari, introducendo: a) alcune semplificazioni (valutazione ex-ante meno prescrittiva, strategia finanziaria integrata nella programmazione a partire dall’accordo di partenariato, avvio immediato, continuazione degli strumenti finanziari della programmazione 2014-2020 nel sessennio successivo); b) la possibilità, prima assente, di combinare sovvenzioni e strumenti finanziari (anche per investimenti solo parzialmente autofinanziati, per esempio imprese sociali, o progetti più ambiziosi, come raggiungere obiettivi prestabiliti per la creazione di posti di lavoro in un’impresa sociale); c) la semplificazione delle regole per i pagamenti e i costi e le commissioni di gestione.

Inoltre, sarà possibile creare sinergie tra gli strumenti finanziari nel FSE+ a gestione condivisa e le garanzie offerte dal programma InvestEU. In questo senso gli strumenti finanziari della programmazione 2021-2027, compreso il microcredito, avranno il compito di rivitalizzare il mercato contribuendo al miglioramento delle sfide sociali: inclusione, transizione verde e digitale, competenze; in particolare, grazie all’economia sociale e alle imprese sociali. Inoltre, il contributo che potrà fornire la “social window” di InvestEU con le garanzie a copertura del rischio preso dagli intermediari finanziari nell’erogazione di prestiti a soggetti vulnerabili (compresi i giovani neet e i migranti), contribuirà a colmare il mismatch esistente negli strumenti finanziari del fondo sociale europeo della passata programmazione (equity e quasi equity).

Come dimostrato dalle due programmazioni precedenti dei fondi strutturali nonché dal programma a gestione diretta “EaSI 2014-2020”, gli strumenti finanziari possono avere un impatto che si estende ben oltre l’aspetto finanziario in quanto, da un lato, favoriscono l’“inclusione finanziaria” di coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità e che, spesso, sono portati ad acquisire servizi finanziari attraverso un rapporto informale, magari inefficiente e rischioso; e, dall’altro lato, favoriscono l’autosufficienza e l’imprenditorialità (sia lavoro autonomo che la microimpresa).

Il Fondo sociale europeo ha offerto e continuerà a offrire alle persone più vulnerabili strumenti finanziari in grado di consentire l’avvio di impresa e attività autonoma, il miglioramento delle condizioni di vita, la stabilità economica e sociale. Ma potrà contribuire anche al potenziamento dei servizi sociali e di tutti quei servizi che possono favorire l’inclusione dei soggetti in condizione di svantaggio, tra i quali i migranti.

InvestEU s’inserisce nella strategia europea volta ad aumentare gli investimenti nell’UE, a sostenere la ripresa e a preparare l’economia per il futuro. La garanzia offerta dal nuovo programma opera su quattro obiettivi: 1. Infrastrutture sostenibili per un valore di 9,9 miliardi di euro; 2. Ricerca, innovazione e digitalizzazione per 6,6 miliardi; PMI per 6,9 miliardi; Investimenti sociali e competenze per 2,8 miliardi (questa cifra rappresenta un ampliamento significativo delle risorse disponibili rispetto allo strumento finanziario del programma EaSI). Il totale complessivo di garanzie offerte è di 26,2 miliardi di euro di investimenti della BEI.

Nell’ambito della “finestra investimenti sociali e competenze”, InvestEU si confronterà con i temi e i principi del pilastro europeo dei diritti sociali, in particolare: inclusione sociale, parità di genere, giovani, sostegno attivo all’occupazione, etc.

Almeno il 30% degli investimenti nell’ambito di InvestEU dovrebbe essere diretto al raggiungimento degli obiettivi climatici europei: tutte e quattro le aree di investimento includeranno progetti per sostenere la transizione verso la neutralità climatica nell’unione europea. I progetti di investimento che ricevono il sostegno europeo saranno, infatti, esaminati con l’obiettivo di determinare il loro impatto ambientale, anche quelli che saranno volti alla creazione di impresa.

InvestEU, come detto, prevede dei “compartimenti-Paese”, una sorta di cassetti ai quali gli stati membri possono volontariamente contribuire mediante i fondi strutturali o con le risorse dello strumento per la ripresa e resilienza con l’obiettivo di sostenere le priorità politiche dei rispettivi piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR). In questo modo, gli Stati membri potranno beneficiare della garanzia dell’UE e del suo elevato rating di credito, offrendo agli investimenti nazionali e regionali maggiore energia.

Bibliografia essenziale

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European Commission, Joint Employment Report 2021, Bruxelles, 2021.

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Metzger, G., Migranten überdurchschnittlich gründungsaktiv – Arbeitsmarkt spielt eine große Rolle, in Fokus Volkswirtschaft, No. 115, KfW Research, 2016.

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ReportLinker Consulting, Global Microfinance Industry, 2021.

NOTE

1 European Commission, Employment and Social Developments in Europe 2021, Bruxelles, 2021.

2 Ibid. p. 20.

3 Ad esempio: settore ospitalità, dei servizi di cura alla persona e domestici, servizi di pulizie, etc.

4 Basso et al. (2020), nota 139 di ESDE

5 OECD, International Migration Outlook 2020, OECD Publishing, Paris.

6 Ibid.

7 Ibid.

8 OECD/European Commission, The missing entrepreneurs 2021. Policies for inclusive entrepreneurship and self-employment, OECD Publishing, Parigi, 2021.

9 Ibid. pp. 267- 326.

10 OECD, What is the impact of the COVID-19 pandemic on immigrants and their children?, 2021.

11 Commissione europea, Evaluation and analysis of good practices in promoting and supporting migrant entrepreneurship guide book, European Commission, Brussels, 2021.

12 Neuman, E., “Performance and job creation among self-employed immigrants and natives in Sweden”, in Small Business Economics, Vol. 56/1, 2021.

13 Metzger, G., “Migranten überdurchschnittlich gründungsaktiv – Arbeitsmarkt spielt eine große Rolle”, in Fokus Volkswirtschaft, No. 115, KfW Research, 2016.

14 ReportLinker Consulting, Global Microfinance Industry, 2021.

15 Drexler, B. et al., Microfinance in the European Union: Market analysis and recommendations for delivery options in 2021-2027, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2020.

16 Regolamento (UE) 2021/1060 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021, recante le disposizioni comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale europeo Plus, al Fondo di coesione, al Fondo per una transizione giusta, al Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura, e le regole finanziarie applicabili a tali fondi e al Fondo Asilo, migrazione e integrazione, al Fondo Sicurezza interna e allo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti.

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