LA PROSPETTIVA DELL’UMANITÀ NELL’ERA DEL TECNOCENE INTERVISTA A NICOLA DI BIANCO

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Cos’è il tecnocene? L’irruzione dell’Intelligenza Artificiale promette di cambiare le nostre vite, di rivoluzionare il nostro modo di essere e relazionarci con la realtà. Tutti noi, più o meno consapevolmente, siamo chiamati a fare i conti con questo nuovo paradigma. Nicola Di Bianco è da anni impegnato su questi temi di cui è stato un precursore. Laureato in Informatica, materia che ha approfondito come ricercatore anche a livello universitario quando in pochi si interessavano ai computer ed alla programmazione, ha poi proseguito il suo percorso di vita divenendo dottore in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense prima di essere ordinato sacerdote. Il suo punto di vista unisce gli aspetti tecnici ad una particolare sensibilità per quelli sociologici e antropologici. Professore presso l’ISSR Donnaregina affiliato alla PFTIM di Napoli ha già pubblicato diversi articoli scientifici e libri sull’argomento AI tra i quali “Intelligenza Artificiale. Un punto di vista teologico”; mentre è in uscita “Intelligenza Artificiale medicina e Neuroetica” (Ed. La Valle del Tempo). Nell’ intervista espone prospettive e timori legati all’AI, in metafora una moderna “torre di Babele”, con una riflessione anche su quanto affermato da Papa Leone XIV proprio sull’evoluzione delle nuove tecnologie in relazione al rispetto dell’essere umano.

Lei afferma che stiamo attraversando la transizione dall’antropocene al Tecnocene. Come sarà il nostro futuro nell’era del Tecnocene?

La tecnofilia priva della necessaria alfabetizzazione rischia di trasformarsi in tecnocrazia e di limitare l’autonomia della decisione umana e il libero svolgersi della vita. Siamo eterodiretti da pochi technosapiens dominanti (big tech), che centralizzano potenza computazionale, proprietà dei dati, conoscenze algoritmiche e costellazioni satellitari. Il tutto si compie con il nostro acritico e deliberato consenso. Paghiamo l’accesso a confortevoli e gratuiti servizi digitali (ricerche di informazioni, partecipazione a social media, telelavoro, piattaforme multimediali, realtà aumentata…) con comode rate di cessione della privacy e della libertà, che ci trasformano in ‘oggetti’ da profilare, manipolare e imboccare.

Da sempre l’uomo ha progettato e usato la tecnologia (la pietra, il fuoco, il bronzo, il ferro, il motore, l’elettricità, la forza nucleare…). Grazie alla tecnologia abbiamo imparato a dominare la natura, a colonizzare la terra, a navigare, a volare, a produrre energia… Possiamo dire che la storia dell’uomo è la storia della coevoluzione di homo sapiens con i suoi artefatti. La tecnologia è l’arte del fare (artificio). Nella Genesi si dice che Dio “prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15). Non si può negare, tuttavia, che accanto ad usi appropriati ci siano stati anche abusi e veri e propri usi deviati. Il problema non è se homo sapiens debba o meno accettare l’artificialità come componente coevolutiva del suo percorso esistenziale, ma quali obiettivi tale condizione debba assumere in un futuro fatto di ibridazioni e surrogazioni continue e spesso immotivate, in cui pochi ‘eletti’, appartenenti alla specie homo technosapiens, avranno il controllo dei molti, esclusi perché residui della specie homo sapiens.

Per entrare in argomento le chiedo: l’Intelligenza Artificiale eguaglierà e/o supererà l’intelligenza umana?

Secondo le predizioni di alcuni addetti ai lavori - Nick Bostrom che parla di superintelligenza - gli agenti digitali robotici si accingerebbero a sostituire e/o superare l’intelligenza umana. Si tratta, invero, di una promessa priva di fondamento tecnoscientifico. Il problema della isoglossia tra linguaggio naturale e linguaggi formali resta ancora pienamente irrisolto, con buona pace di chi promette software in grado di conversare con umani intelligenti. Quelle che impropriamente i progettisti del software definiscono “ambiguità” sono invece connotazioni sostanziali del linguaggio naturale (bisemie, polisemie, metafore, ironie, domande, silenzi…), che ne determinano la complessità. Un robot non fa domande offre solo risposte. Il prompt dell’algoritmo è programmato solo per offrire risposte, non conosce il ‘silenzio’ (facoltà unicamente umana). Non pensa, non riflette, non prega… (eventualmente elabora informazioni e le comunica: è un ‘pappagallo stocastico’). I software pseudo-intelligenti necessitano che l’utente umano formuli le domande in maniera tale da favorire la comprensione dell’algoritmo. Per cui non avremo robot capaci di “dialogare” con umani, ma viceversa umani condiscendenti, che progressivamente addestrano i robot a interloquire. Mi domando se non si rischia di cadere in un riduzionismo antropologico. Insomma, in obbedienza alla nota massima “la scienza scopre, la tecnologia applica e l’uomo si adatta”, si chiede agli umani di adeguarsi alle macchine e non viceversa. A ogni buon conto l’affermazione che un giorno le architetture di computer (reti neurali) riusciranno a comprendere il linguaggio naturale per i tecno scettici sembra essere una “petitio princípii”, o un’asserzione predittiva priva di valore dimostrativo. Le “reti neurali” sono per la loro struttura intrinseca delle black box (scatole nere), dove non è dato sapere come decide l’algoritmo, quali sono le qualità e i limiti specifici dell’IA rispetto all’intelligenza umana, qual è la complessità dei compiti e dell’ambiente dal punto di vista dei sistemi di IA. Inoltre, andrebbe precisato il problema dei bias (pregiudizi) nella cognizione umana, relativi ai bias nell’IA e i problemi associati al controllo dell’IA. Ancora incerta è la prevedibilità del comportamento dell’IA (decisioni) e la costruzione della fiducia e il mantenimento della consapevolezza della situazione (compliance).

Tuttavia, siamo di fronte ad un mutamento sociale?

Non vi è dubbio. In merito il professor Giorgio Grossi preconizza che siamo nell’era del Tecnocene, legata al nesso tra vita umana e vita artificiale, e alle prospettive utopiche o distopiche che questa ibridazione può generare. Assistiamo alla trasformazione del capitalismo industriale e globalizzato nel capitalismo cognitivo o neurocapitalismo come fattore determinante per la promozione e la definizione degli obiettivi della “rivoluzione digitale” con finalità tutt’altro che “scientifiche” o “bio-sociali”. L’IA è piena di difetti e contraddizioni perché è costruita e allenata dagli stessi Sapiens, che ci stanno portando sempre più verso una ‘società guidata dai dati’ (data driven society) e una connessa datacrazia. Stiamo sostituendo il concetto di società tipicamente umanista con un nuovo tipo di sociazione bio-tecno-sociale antropotecnica. La rivoluzione digitale sta modificando non solo l’esistenza in società, ma l’idea stessa di socialità, di associazione, di soggettività e di coscienza di esistere. La svolta del Tecnocene può essere contrastata e modificata solo se homo Sapiens saprà non solo criticare la rivoluzione digitale in atto, ma anche ripensare e adeguare il proprio patrimonio cognitivo, sia abdicando alla centralità antropomorfa che promuovendo la ridefinizione di una concezione dell’esistenza e della vita sociale in una prospettiva davvero oltre-moderna. La tecnologia digitale con le sue applicazioni ha colonizzato il tessuto sociale della vita dell’uomo: l’economia, la finanza, la politica, la scienza, la sanità, la scuola, la religione, la comunicazione, il commercio… Il pensiero dominante (mainstream) dell’uomo technosapiens è l’algoritmo. Tutto è programmato e tutto è programmabile… Ma non tutto è computabile. Per il tecnocentrismo ogni problema ha una soluzione algoritmica. La concessione di un mutuo, la fissazione dell’età pensionabile, l’indirizzo delle politiche sanitarie, la ricerca scientifica, la riforma scolastica, la valutazione dei candidati ai concorsi, la competizione elettorale, l’attività legislativa, la nascita di start up… e tante altre decisioni sono orientate e talvolta decise da un algoritmo. Siamo eterodiretti dal pensiero unico tecno-razionale deciso e imposto da gruppi di potere.

E cosa sta accadendo dal punto di vista antropologico?

Si va imponendo un nuovo paradigma antropologico elaborato e progettato con cinica determinazione dai guru della Silicon Valley. Il transumanesimo mira, da una parte alla costruzione di una società informatizzata e gestita da una élite di umani super-ricchi che controlla, tramite imprese, istituzioni, capitali e software, l’intera esistenza digitalizzata mediante la promozione del mito della “felicità universale”, accelerando così ulteriormente tutte le aporie e le degenerazioni delle nostre società storiche fino ad alimentare il mito dell’iperumano.

Il problema non è se homo Sapiens debba o meno accettare l’artificialità come componente coevolutiva del suo percorso esistenziale, ma quali obiettivi tale condizione debba assumere in un futuro fatto di ibridazioni e surrogazioni continue e spesso immotivate. Nei prossimi anni per la prima volta la specie umana potrà non solo modificare il proprio software – cioè la cultura come fattore di trasformazione – ma anche il proprio hardware, cioè il suo stesso profilo genetico. In altre parole, la maggior parte della materia sulla terra sarà progettata anziché essere il risultato dell’evoluzione. Nell’era del Tecnocene l’intelligenza umana sarà sempre più sostituita dall’IA che non ha nessuna sensibilità etica, politica ed ecologica. Va da sé che la perfezione e l’esattezza esibite nella tecnoscienza non esistono nell’universo, e a maggior ragione nella vita animale, e quindi non si vede perché debbano governare sempre più la specie antropomorfa.

Quali implicazioni avrà l’IA nella vita delle persone? Facciamo un esempio cosa potrebbe cambiare per una persona che vuole chiedere un prestito per dare vita a un’attività?

Lo scenario futuro per il mondo del lavoro, per l’incentivazione delle PMI e le politiche occupazionali è molto preoccupante. In un prossimo futuro chi volesse accedere a un prestito per intraprendere un’attività imprenditoriale si troverà di fronte un mondo in radicale trasformazione. Molti diritti tutelati da principi costituzionali rischiano di essere polverizzati dai processi di automazione tecnocratica. Il mondo nuovo sta arrivando. La combinazione del progresso tecnologico e dello sviluppo capitalistico sta facendo piazza pulita di ogni residuo di trascendenza ancora presente nella nostra società. La razionalità implacabile delle macchine “lacera le culture politiche, cancella le tradizioni, dissolve le soggettività e hackera gli apparati di sicurezza tracciando un tropismo senz’anima”. L’approdo inevitabile è l’avvento di un mondo nuovo, nel quale la fusione tra uomini e macchine (ipercorpo digitale) sarà completa e il sistema sarà governato in forme integralmente razionali.

Da una parte, la logica del capitalismo della sorveglianza made in California, che trasforma ogni gesto, e presto ogni pensiero, in un flusso di dati misurabile e gestibile al fine di controllare e orientare i comportamenti degli individui, ridotti alla condizione di semplici componenti dello sciame. Un sistema fondato sullo scambio tra autonomia e comodità, nel quale siamo scivolati senza quasi accorgercene e che già si è fatto irreversibile. Una mobilitazione totale e continua, al servizio di un’intelligenza collettiva per adesso ancora benevola, generosa, piena di promesse di nuovi comfort e nuove sicurezze, da pagare in comode impercettibili rate di libertà e di fantasia.

Dall’altra parte c’è il tecno-autoritarismo cinese, nel quale le stesse tecnologie sono messe al servizio di un sistema esplicitamente totalitario, il cui aspetto più spaventoso risiede nel fatto che differisce dal nostro solo per la sua intensità: una questione di gradazione, più che di sostanza. Anche in Cina lo scopo è l’ottimizzazione, il governo razionale della collettività. Anche lì l’adesione dei singoli al sistema del controllo totale è legata al comfort e alla massimizzazione delle opportunità produttive e di consumo. L’unica differenza è che la griglia di notazione è centralizzata e risponde agli interessi del Partito Unico, anziché a quelli di una pletora di strutture pubbliche e private. E che, nei rari casi nei quali la moral suasion dell’algoritmo non è sufficiente, la mano d’acciaio dello Stato garantisce la soppressione dei comportamenti devianti. Difficile non vedere che questi due fronti costituiscono i due bracci di un’unica tenaglia nella cui morsa c’è il modello della democrazia liberale, già malmenato da tante evoluzioni degli ultimi anni, e oggi irrimediabilmente obsoleto agli occhi dei tecno-razionalisti di Palo Alto e di Pechino.

Dove ci condurranno le tecnologie digitali e l’IA?

In un futuro non troppo lontano la specie umana includerà l’ homo technosapiens del Tecnocene, esseri proteiformi con protesi tecnologiche. Si declinerà l’uomo “manipolato”, “ibridato”, “minotaurizzato”, “bionico”, “chimerico”, “dematerializzato”, “olo-grammato” e le sue diverse antropomorfizzazioni. L’imprenditore informatico Mark Zuckerberg promette un futuro prossimo in cui i nostri avatar, dematerializzati e ologrammati, interagiranno in una nuova dimensione, il web immersivo, il “metaverso”. Invece di guardare qualcosa davanti allo schermo il nostro avatar vi starà dentro e noi avremo la sensazione di vivere una “seconda vita” (second life). Nel “metaverso” i nostri ologrammi accresciuti di una second life saranno anywhere (ovunque) ed everytime (ogni volta). I nuovi scenari tecnologici aprono, tuttavia, enigmatiche domande: L’ubiquità e l’eternità digitale offerte dal “metaverso” con le sue protesi virtuali ci consentiranno una cittadinanza planetaria? Molte delle nostre attività quotidiane saranno trasferite nel “metaverso”, dove i nostri avatar comunicheranno senza il ricorso a sintagmi testuali, ma con espressioni vocali, assistite da traduttori universali? Molte funzioni della nostra vita quotidiana saranno esperite virtualmente dai nostri avatar, ai quali delegheremo il nostro consenso informato: la didattica, l’informazione, il lavoro nel settore terziario…? In un tempo futuribile l’uomo che si è evoluto nel corso dei millenni passando dall’oralità alla scrittura potrebbe abbandonarla per ritornare a una nuova forma di oralità? La futura società digitale che stiamo costruendo sarà assistita o governata dalla tecnologia? Le nuove tecnologie sussidieranno l’uomo o lo asserviranno?

Vede dei pericoli nelle applicazioni basate sull’IA?

Le cinque grosse aziende multinazionali dell’innovazione tecnologica identificate con l’acronimo GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) detengono un ruolo predominante e monopolistico nel tessuto politico-economico occidentale ed esercitano una vera e propria azione di lobbying presso il Governo statunitense e l’Unione Europea. Le surriferite holding non sono aliene da elusione fiscale, collaborazione con l’intelligence e abusi sociopolitici. Le loro attività imprenditoriali legate all’innovazione tecnologica nei diversi settori della vita umana condizionano e in alcuni casi determinano gli indirizzi economici, finanziari, politici, commerciali, sociali di milioni di persone, che si affidano acriticamente alle loro tecnologie. Una delle applicazioni più taciute dell’IA è quella della progettazione e dello sviluppo di armi completamente autonome nell’identificare e colpire il bersaglio, che crescono pericolosamente, aprendo nuovi scenari sul piano etico e del diritto. I sistemi di puntamento elettronico algoritmizzati con l’uso dell’IA trovano tristemente applicazione nelle guerre in corso, che sono una tragica riprova di dove ci stia conducendo una tecnologia priva di regole etiche, in cui l’uomo irresponsabilmente delega ad algidi algoritmi il perseguimento di obbiettivi lesivi della dignità della persona umana.

Quindi Lei propone un rifiuto delle nuove tecnologie e dell’IA?

Non esattamente. Ormai i due attori principali del Tecnocene (le Big Tech e i gruppi economici dominanti) procedono in simbiosi, si alimentano reciprocamente, ammiccandosi e sostenendo che il progresso scientifico risponde alle necessità e ai bisogni evolutivi di una specie, mentre in realtà è legato soprattutto a interessi economici e finanziari di poteri economici forti e di imprese globali. In questa congiuntura la rivoluzione digitale ha assegnato alla scienza ciò che prima era delegato alla politica: guidare il percorso evolutivo sulla base dei criteri assiomatici e algoritmici. Siamo alla “religione dei dati”. Il nuovo capitalismo digitale è fatto di surplus comportamentale relativo a ogni tipo di agency, di renderizzazione e datizzazione dell’intera esperienza vitale in tutte le sue componenti, di strumentalizzazione e potere di sorveglianza nei confronti di ogni aspetto della quotidianità esistenziale.

La storia ci ha insegnato che tutte le rivoluzioni partite con intenti libertari sono approdate a dittature o a forme di dittature mascherate. Nella rivoluzione ciberlibertaria siamo liberi di scegliere ciò che vogliamo, ma ciò che ci è offerto è stato profilato in precedenza a partire dai nostri comportamenti, gusti e sentimenti. Siamo sempre tracciati e controllati e viviamo in un’inedita forma di privatismo libertario che è anche un collettivismo sistemico, garantito dalla certezza algoritmica e dalla redditività capitalistica. Siamo alla dittatura del capitalismo digitale il cui marchio di fabbrica è il cyber-liberismo.

E allora le vere domande sono altre. Possiamo consentire che multinazionali dell’IT mediante le loro piattaforme digitali e i loro algoritmi criptati assumano posizioni dominanti senza rispondere dei loro abusi? Possiamo permettere che partiti politici costruiscano il loro consenso su piattaforme telematiche, detenute da società private e che con consultazioni on line non sottoposte a controlli di terzi, si auto legittimino in nome di un’incerta e non verificata espressione del consenso della base sociale per decidere in materia di economia, politica, sanità, cultura...? La storia dell’ homo Sapiens che si accinge a diventare homo technosapiens è di fronte a una nuova sfida: smascherare la tecnolatria e la tecnocrazia come una moderna eresia millenarista. Contro chi preconizza la fine di homo Sapiens, sostituito o dominato dall’ homo technosapiens, mi permetto di auspicare nel prossimo futuro una coevoluzione tra le due specie, che dovranno trovare il giusto equilibrio per coesistere.

Perché Papa Leone XIV ha citato la “Rerum novarum” di Leone XIII collegandola alla rivoluzione digitale dell’IA?

Il Papa con quella citazione ha operato un passaggio dalla “Rerum novarum” (Leone XIII), che rispose alla sfida del mondo proto-industriale alla “Rerum digitalium”, per dirla col neologismo di Roberto Manzi, in cui si auspica un magistero dedicato ai temi dell’IA, che sia in grado di rileggere il ruolo della tecnica alla luce di una “dottrina sociale della conoscenza”, capace di custodire la fragilità e la libertà dell’uomo come risorsa e non come difetto da correggere. Mi sembra molto illuminante la sua recente affermazione: “Ci sono poi le sfide che interpellano il rispetto per la dignità della persona umana. L’intelligenza artificiale, le biotecnologie, l’economia dei dati e i social media stanno trasformando profondamente la nostra percezione e la nostra esperienza della vita. In questo scenario, la dignità dell’umano rischia di venire appiattita o dimenticata, sostituita da funzioni, automatismi, simulazioni. Ma la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero. Mi permetto allora di esprimere un auspicio: che il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata” (Discorso di papa Leone XIV ai vescovi italiani 17.6.2025).

L’IA promette di affiancare e surrogare molte attività umane. Quali potrebbero essere le applicazioni di maggiore utilità?

L’IA, come ho documentato nel mio nuovo libro “Intelligenza Artificiale medicina e Neuroetica”, si è rivelata particolarmente utile nella diagnostica medica radiologica, oncologica e cardiologica.

Gli algoritmi di pattern recognition (riconoscimento del modello) sono sempre più affidabili e capaci di surrogare la visione umana. Un numero sempre maggiore di dispositivi elettronici agevolerà la medicina preventiva e la telemedicina. I sistemi sanitari saranno sempre più digitali, avremo un fascicolo sanitario elettronico, che conterrà i nostri dati clinici. E presto potremo fruire di televisite. I chirurghi saranno assistiti dal calcolatore e dall’informatica medica e si avvarranno della chirurgia robotica. Utilizzeranno in sala operatoria dei bracci robotici con localizzatori ottici (sensori con software per l’identificazione di oggetti nelle tre dimensioni), in abbinamento con scanner volumetrici.

I robot chirurgici saranno:

  1. a) completamente autonomi;
  2. b) collaborativi;
  3. c) teleoperati; ciascuno dei quali presenterà vantaggi e rischi.

La biologia cellulare e molecolare ingegnerizzata personalizzerà la preparazione di farmaci. L’impiego di biomateriali favorirà l’impianto di protesi per l’apparato scheletrico, di pelle artificiale, di tessuto placentare,… e surrogherà altri organi compatibili con le tecniche attualmente in uso. Molti dispositivi in ambito biomedico saranno indossabili e dialogheranno con l’internet delle cose per surrogare le disfunzioni dei diversamente abili. Sistemi artificiali intelligenti surrogheranno la percezione, la cognizione e il comportamento di umani affetti da patologie che comportano disabilità. Il controllo motorio sarà assistito dall’ingegneria della riabilitazione.

Le neuroscienze computazionali e l’ingegneria neuromorfica svilupperanno interfacce neuro-elettroniche in grado di simulare il comportamento del cervello e di curarne patologie disabilitanti. Il centro per l’ingegneria neurobiologica del MIT promuove ricerche per ingegnerizzare i neuroni, il tessuto neurale e le loro relazioni con altre cellule, dispositivi e protesi con lo scopo di trattare i disturbi cerebrali riparando, controllando e perfino progettando nuove strutture neurali. Si progettano neuro protesi optoelettroniche, sonde neurali flessibili, strumenti per la mappatura, il controllo e la costruzione di circuiti cerebrali, protesi neurali… allo scopo di curare malattie neurodegenerative.

La ricerca si orienta anche verso interfacce ‘mente-computer’, la cognizione aumentata, l’apprendimento automatico, la mappatura cervello-fisiologia, la nanoelettronica, la simbiosi vita-macchina, l’ingegneria genetica, il differenziamento delle cellule staminali, gli algoritmi per l’elaborazione del segnale neurale e lo studio di meccanismi per l’anestesia generale.

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