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L’ECONOMIA DEL TERRITORIO INTERVISTA A GIANRICO RUZZA, VESCOVO DI PORTO-SANTA RUFINA E CIVITAVECCHIA-TARQUINIA
Il microcredito nasce come strumento di dignità e lavoro partendo da una reale necessità economica di famiglie e piccoli imprenditori di un’area rurale. Oggi, con le dovute differenze, ascoltare i bisogni delle persone sul territorio e provare ad offrire loro soluzioni e strumenti è un compito sempre più difficile. In una realtà globalizzata e sempre più tecnocratica il contatto con la povertà o semplicemente con l’impossibilità di far fronte alle necessità di un menage familiare è paradossalmente il punto di vulnerabilità maggiore di una società che corre a due velocità. Chi da sempre si occupa di raccogliere le istanze e i bisogni economici sostenendo la persona e creando quella rete di protezione che è utile al welfare della persona e del territorio appartiene spesso ad una comunità religiosa ceh si fa portavoce delle urgenze, delle speranze e delle opportunità. Il vescovo è la guida spirtiuale e il primo promotore di un’azione coordinata con parroci e fedeli ma è anche l’interlocutore privilegiato con le istituzioni che operano sull’area. La diocesi di Civitavecchia e Porto Santa Rufina è molto vasta e offre uno spaccato intenso di quelle attività economiche che compongono i tessuto produttivo del Paese. Ne abbiamo discusso con Sua eccellenza Monsignor Gianrico Ruzza per capire come oggi la dottrina sociale della Chiesa sia una delle principali linee di ispirazione per una politica economica che guarda alla persona e ne rimette al centro le necessità, per una finanza etica operativa, da cui il microcredito trae forza e ispirazione.
Economia della persona significa creare opportunità di un lavoro che porti dignità. Come commenta?
Nell’insegnamento della Chiesa, costante nella dottrina sociale, il lavoro esprime una dimensione essenziale della vita, delle relazioni della persona, del suo sviluppo e della sua crescita integrale. Papa Francesco ha insistito molto su questo aspetto nei suoi interventi, in particolare, ci ha ricordato che non c’è una vera dignità della persona se non c’è il lavoro, in quanto esso contribuisce a rendere una persona adulta e degna. Credo che in questo momento, nel quale l’economia assume toni aggressivi nei confronti della vita delle persone e dei rapporti umani, sia necessario ribadire che il lavoro è necessario e deve essere umanizzante per consentire alla persona di sviluppare relazioni fraterne, sane, equilibrate e soddisfacenti.
La Sua diocesi è molto vasta e offre un campione reale dell’economia, familiare, agricola e imprenditoriale. Come è oggi la situazione nel territorio?
Il territorio è molto variegato. L’area delle diocesi che mi sono affidate, Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia, si estende dalla periferia occidentale della Capitale alla campagna romana seguendo tutto il litorale settentrionale del Lazio. Ne consegue una ampia diversificazione delle attività economiche presenti. La parte agricola vive una situazione di grande sofferenza. Sono presenti due rilevanti aziende agricole, una delle quali è la più grande d’Europa, la Maccarese SPA, con le loro attività che coinvolgono i contadini del luogo in un interscambio commerciale. La maggior parte dei lavoratori agricoli è invece rappresentata da piccoli coltivatori, che sono estremamente penalizzati dalla situazione del mercato e soprattutto da una legislazione europea che non agevola la produttività e, soprattutto, la redditività del prodotto. Per quanto riguarda l’economia del mare, vanno fatte delle distinzioni. Dai pescatori continuo a ricevere lamentele circa le difficoltà economiche che affrontano per la loro attività, anche in questo caso alcune legislazioni europee, rafforzate da quelle nazionali, obbligano a periodi di ferma della pesca. Queste norme si possono comprendere, ma a volte i tempi diventano molto lunghi aggravando un lavoro che non dà sicurezze costanti perché è oscillante in base al pescato. Non è secondario il problema del ricambio generazionale. Un lavoro, come quello del pescatore, molto faticoso, con orari massacranti, che presuppone un’assenza dalla vita familiare o una mancanza di relazioni, che impegna dalle 22 fino alle 16 del giorno successivo, scoraggia i giovani quando poi non vedono un equo reddito corrispondente. In generale, direi che non c’è un’incentivazione reale da parte delle istituzioni e da parte del mercato alla partecipazione dei ragazzi alla vita agricola e a quella del mare. Ritengo questa specifica mancanza di attenzione al mondo giovanile un gravissimo danno per entrambe queste attività tradizionali della storia umana. Una progettualità a lungo e breve termine, con relativi investimenti, per favorire l’ingresso dei giovani nell’agricoltura e nella pesca rappresenterebbe una svolta anche culturale. Riporterebbe, infatti, le nostre vite a una dimensione più umanizzata rispetto a un’economia esclusivamente industriale, manifatturiera, che a volte tende a spersonalizzare i rapporti. Per quanto riguarda l’economia del mare va detto che c’è tutta la parte dell’economia balneare legata alle stagioni turistiche, un settore che ha risentito molto della crisi del Covid. Nell’economia balneare vanno considerate le attività ricettive, quali ristorazione, stabilimenti ed altro. Un capitolo a parte riguarda l’ambito croceristico che investe in modo particolare il porto di Civitavecchia e, probabilmente, nel futuro anche il porto di Fiumicino. È un settore in grande espansione con enormi benefici all’indotto: un incremento di lavoro per le aziende che si occupano di ristorazione, lavanderia, pulizia delle navi, manutenzione ed altro. Va detto che si può sviluppare di molto la parte cantieristica, soprattutto nel territorio di Civitavecchia, credo altrettanto nel territorio di Fiumicino. Ma, anche qui è necessario un significativo investimento da parte della politica che possa incoraggiare progetti validi e sostenibili. Per quanto riguarda l’imprenditoria parliamo di realtà piccole, prevalentemente a conduzione familiare. Molte di queste situazioni sono affaticate per la crisi del mercato, tuttavia riescono a difendersi. Devo segnalare in proposito l’iniziativa molto lodevole di tante piccole aziende che si sono federate. Attraverso le associazioni di categoria, mi riferisco in particolare a Unindustria, queste realtà cercano di entrare in una logica di sistema, grazie alla quale hanno una maggiore presenza e visibilità come soggetti economici, riuscendo peraltro a reagire ai contraccolpi delle fluttuazioni del mercato e dell’inflazione.
Quali sono le carenze che mettono in sofferenza i giovani?
È un tema che andrebbe affrontato con una visione globale. La prima carenza che i giovani vivono e soffrono è quella dell’assenza di un’attenzione e di un ascolto da parte del mondo adulto nei loro confronti. Sicuramente l’incertezza sul futuro, l’incertezza economica, l’incertezza su un posto di lavoro, che dia garanzie, pesano molto nelle considerazioni che i giovani possono fare per la propria realizzazione. La spinta ad andare in altri Paesi d’Europa o addirittura extracontinentali per i loro progetti di futuro è molto forte e non rasserena certamente la loro presenza sul territorio. Aggiungerei che le distrazioni dovute alla cultura dei social e a una assenza di proposte di valori da parte delle agenzie educative aggravano di molto il problema. E qui si apre una riflessione anche su quella che è considerata la cultura dei Neet, coloro che sono a casa, senza un’attività né lavorativa né di studio né di formazione, anche in età avanzata. Ovviamente si tratterebbe di approfondire la questione con una riflessione sociologica e culturale. Per non parlare poi di tutta la questione del disagio psicologico che molti fra i giovani oggi vivono, in conseguenza certamente del Covid ma anche molto di più di una cultura digitale che ha spersonalizzato i rapporti, riducendo se non addirittura eliminando il contatto diretto fra le persone.
Pastorale significa anche educare al bene comune e a un’economia che non lasci indietro nessuno. Qual è il suo messaggio nella evangelizzazione del territorio?
Vorrei sottolineare che educare al bene comune significa innanzitutto favorire la diffusione della cultura della partecipazione, in ogni ambito, in particolare da quello sociale a quello politico. Nella Settimana sociale dei Cattolici in Italia, che si è tenuta a Trieste lo scorso anno, da parte soprattutto dei giovani è emersa la volontà di mettersi in gioco per garantire e tutelare il processo della democrazia, come peraltro ci ha ricordato in quei giorni il Capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo luminoso discorso. Nell’esperienza della partecipazione c’è infatti il nucleo essenziale della solidarietà tra le persone, che si fonda sul comandamento di Gesù, amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Con questo sguardo evangelico l’altro, dal più vicino al più lontano, non può essere utilizzato come cosa o peggio come prodotto, ma incontrato come fratello o sorella con cui camminare e vivere assieme. Pertanto, se prendiamo consapevolezza del dono dell’altro, quasi naturalmente, oserei direi, dovremmo spenderci davvero nella promozione umana, nel custodire e valorizzare chi fatica più di altri, chi è solo, chi non ce la fa. Questa forma di cittadinanza attiva – quando ampiamente diffusa –, che esprime una forma alta della carità cristiana, può portare alla richiesta di una economia che sia incentrata sulla cura di tutti e non solo sul benessere di alcuni.
Il microcredito a suo avviso può essere uno strumento utile nel territorio che lei frequenta?
Assolutamente sì, va incentivato, va spiegato, va comunicato dal punto di vista ecclesiale per favorire un’attivazione anche a livello delle Caritas. Si può però crescere molto nell’interazione con le istituzioni, a cominciare proprio dalla Fondazione microcredito. Il microcredito, per l’ispirazione di Yunus, è una delle attività che più può rispondere a una particolarità del sistema economico italiano: la parcellizzazione dell’attività produttiva. Per un verso questa peculiarità può determinare una debolezza all’interno del mercato, dall’altro invece rappresenta anche una sua solidità, entrando di fatto nella quotidianità della vita delle persone. Possiamo dire che il microcredito risponde a un bisogno proprio del territorio che storicamente ha mantenuto una sua fisionomia frazionata, divisa all’epoca dei comuni fino ai giorni nostri, con la differenziazione culturale fra le varie regioni. È un fenomeno che oggi si amplia nella prospettiva dell’autonomia differenziata, con tutte le complessità che questa iniziativa legislativa può comportare. Alcune di queste molto preoccupanti, che potrebbero penalizzare i territori più in disagio, più sofferenti del territorio nazionale, in particolare quelli delle aree interne e del meridione.
Come, a Suo avviso, Papa Leone XIV reinterpreterà la dottrina sociale della chiesa a partire dalla “Rerum novarum”?
Dopo l’ondata profetica straordinaria del pontificato di Papa Francesco, Leone aggiornerà la dottrina sociale della Chiesa per quello che riguarda le applicazioni quotidiane rispetto a un sistema geopolitico caratterizzato da un nuovo ordine economico internazionale e da un nuovo sistema del commercio. Rimarranno immutati i principi fondamentali elaborati tra l’ultima parte del diciannovesimo secolo e la prima del ventesimo. Il pensiero della dottrina sociale ha una vastità e una integrità di pensiero, senza eguali in altre forme di pensiero ideale, di altre confessioni o di altre inclinazioni ideologiche. È un cammino notevole che va dalla Rerum novarum per arrivare alla Caritas in veritate di Benedetto XVI e soprattutto all’encicliche sociali di Francesco, in cui io inserirei Laudato si’ e Fratelli tutti, e per alcuni aspetti Evangelii Gaudium. Quello che serve è il cambiamento invocato a livello culturale ed ecclesiale, che consiste nel far sì che la dottrina sociale sia parte integrante del patrimonio formativo e del bagaglio culturale di ogni battezzato, attraverso anche gli usuali percorsi di catechesi e di formazione, che vengono offerti ai fedeli nell’ambito della loro vita.
La pace invocata dal Santo Padre passa da una riforma economica?
Non c’è una pace senza un’autentica giustizia. È il principio fondamentale di Pacem in Terris di Giovanni XXIII e di Popolorum Progressio di Paolo VI. Senza un criterio di giustizia, di uguaglianza, di rispetto per la vita e per le differenze delle persone e di attenzione alle particolarità e singolarità delle culture non può esserci una vera pace. Ma, la pace oggi è minacciata enormemente anche dalla condizione del cambiamento climatico e dalla progressiva riduzione degli spazi democratici, quindi dall’espandersi di sistemi autocratici o tirannici. Tutto questo comporta conflittualità permanenti che passano anche per l’aspetto religioso, ma non è questo l’aspetto che le origina. Esse nascono da aspetti sociali, culturali e politici. Non pensare a una riforma economica, a un’economia che dia spazio a tutti, che consenta a tutti delle condizioni di vita quantomeno di minima dignità, vuol dire avventurarci verso una guerra sicura. Parliamo di quella terza guerra mondiale a pezzi preconizzata da papa Francesco nel 2014, che oggi purtroppo si sta realizzando ogni giorno in modo più concreto.
Cosa significa concretamente per Lei rimettere al centro la persona?
La persona non può mai essere esclusa da alcuna considerazione culturale o politica. Mi riferisco a tutta la sfera della libertà, dell’interiorità, della dignità e dell’integrità della vita umana, che va dal concepimento all’ultimo momento della vita biologica naturale. Ogni istante di questa vita va rispettato, così come vanno rispettate le decisioni e le autonomie e la libertà del pensiero di ciascuno. Anche a costo di sobbarcarsi la fatica di un lavoro di concertazione, di discernimento e di confronto fra le parti culturali, sociali e politiche. L’augurio è che tutti coloro che sono impegnati a vario titolo e con le rispettive responsabilità in questo ambito giungano a riformulare i principi basilari della convivenza civile, mettendo sempre al centro non solo la persona, ma anche la sua dignità e la difesa dei suoi diritti fondamentali.
Giovani e prospettive economiche: cosa consiglia ai ragazzi per poter costruire un futuro e una famiglia?
La prima cosa è di continuare ad avere speranza e di sapere che dove c’è la democrazia e dove ci sono le istituzioni di libertà e le garanzie delle costituzioni non bisogna avere paura. Vorrei qui sottolineare che la nostra Costituzione, sicuramente una delle più belle del mondo, è profondamente legata ai valori evangelici. Come ha detto qualcuno molto più autorevole di me, il testo della Costituzione può diventare un testo di preghiera. Dobbiamo esserne fieri, ma anche strenui difensori dei principi di libertà della Carta. Bisogna credere che il cambiamento rispetto alle condizioni faticose o peggiorative che stiamo sperimentando in questi ultimi anni, a seguito anche delle gravi crisi sanitarie, sociali e climatiche, può essere vero e deve avere per protagonisti i propri giovani. Dobbiamo riconoscere ai nostri ragazzi uno spazio di pensiero, di autonomia, di coraggio, che è insostituibile per lo sviluppo di una società. Negare a loro questo spazio vuol dire andare verso un suicidio della nostra comunità civile. Al tempo stesso credo che i giovani, come più volte ha detto Papa Francesco, devono essere coloro che portano il sogno, il sogno di un cambiamento, il sogno della libertà, il sogno della verità, il sogno della giustizia, il sogno della pace.