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NUOVE IDEE: NUOVI MODELLI ECONOMICO-SOCIALI E RUOLO DEL MICROCREDITO
Letizia MORATTI | Presidente del Comitato Etico dei Garanti – Comitato Tecnico Operativo ENM - Co-fondatrice Fondazione San Patrignano
Se abbiamo imparato qualcosa dalla crisi è che i vecchi modelli economici e sociali, così come l’approccio mutuato in primo luogo dalla finanza speculativa della ricerca del massimo profitto nel tempo più breve, non funzionano più.
Al contempo, per limitare il dilagare della sofferenza sociale prodotta dall’estendersi della crisi all’economia reale e alla vita concreta di milioni di presone i governi hanno dovuto impegnare enormi risorse finanziare a supporto delle fasce più deboli della popolazione e, ancor più, a tutela della tenuta del sistema creditizio.
Dal 2008 al 2013 il debito consolidato dei Paesi del G-7, per rimettere in sesto i sistemi bancari e far ripartire l’economia, è cresciuto di 18mila miliardi di dollari raggiungendo un record mai visto di 140mila miliardi.
L’Organizzazione internazionale per il lavoro ha segnalato all’inizio di questo anno che entro il 2019 più di 212 milioni di persone saranno senza lavoro, contro i 201 milioni del 2014.
Se il tasso di povertà globale era sceso nel 2010 a meno della metà del tasso del decennio precedente, a livello globale 1.2 miliardi di persone ancora oggi vivono in estrema povertà.
Questi numeri sono il segnale di un modello economico inadeguato che ha prodotto gravi emergenze sociali. È una situazione che nessuna società avanzata e civile dovrebbe tollerare e, soprattutto, che nessuna può permettersi perché costituisce il principale rischio di tensioni fra i vari settori della popolazione.
I sistemi di welfare tradizionale stanno diventando sempre meno sostenibili dai singoli Stati e già oggi in molti paesi si registrano gap miliardari tra la domanda di servizi pubblici e la capacità di far fronte a tale domanda. In Italia, secondo Oxford Economics, il gap entro il 2025 è stimato in 70 miliardi e 80 miliardi per la Germania e 170 per il Regno Unito.
Con i tassi di crescita appena citati non possiamo certo pensare che tale gap tra bisogni crescenti espressi dalle comunità e risorse pubbliche sempre più scarse per il finanziamento dei sistemi di welfare possa ridursi.
Non è un caso, dunque, che in ogni parte del mondo siano andati affermandosi con sempre maggior vigore idee, proposte e iniziative concrete improntante ad approcci culturali diversi, più attenti alle prospettive di lungo periodo, alle nuove generazioni, alla dimensione collettiva e comunitaria oltre che individuale, alle specificità delle dinamiche locali dei territori oltre a quelle globali, alle dimensioni sociali e ambientali oltre che economiche e finanziarie. Qui stanno le opportunità per costruire le basi di un mondo capace di affrontare con successo le enormi sfide che abbiamo di fronte.
In paesi con una marcata tradizione liberale come il Regno Unito e gli Stati Uniti, si stanno affermando soluzioni, anche di carattere normativo, volte a promuovere modelli d’impresa diversi e maggiormente orientati al bene comune.
La Circular Economy si basa sull’imitazione della natura, dove nessun rifiuto resta sprecato, ma viene reintrodotto nel sistema a beneficio di qualcos’altro. Ripensare, ridisegnare, ridurre, riusare, riciclare, recuperare le risorse sono le azioni che costituiscono il cuore di questa nuova economia. Quindi non solo produrre meno o sprecare meno, ma ripensare l’economia guardando ai cicli della natura.
Tra le esperienze globali, la Blue Economy teorizzata da Gunter Pauli può essere considerata un’evoluzione della Green Economy e sta già dimostrando non solo la sua validità in termini di sostenibilità ambientale, ma anche la sua capacità di generare competitività, maggiori flussi di reddito e al tempo stesso capitale sociale.
Il Movimento per l’Economia Positiva, teorizzato dall’economista francese Jacques Attali e al quale ho aderito con entusiasmo, è un formidabile strumento per promuovere una nuova cultura orientata alle generazioni future. Propone azioni da attuare e iniziative da sviluppare attraverso un approccio basato sulla triplice applicazione del principio di altruismo razionale, elemento fondamentale nella definizione dell’economia positiva: tra le generazioni (punto di riferimento nel tempo); tra i territori (punto di riferimento nello spazio); tra gli attori (punto di riferimento nelle relazioni).
In Italia, il Prof Stefano Zamagni ha rilanciato l’“economia civile”, riprendendo i concetti promossi dai Francescani nel XV secolo quando furono protagonisti dell’invenzione dei cosiddetti monti di pietà. L’economia civile cerca di tradurre la convinzione che una buona società è frutto sia di un mercato che funziona sia di processi che attivano la solidarietà da parte di tutti i soggetti. Se potessimo dirlo con un’unica espressione, diremmo che l’economia civile propone un umanesimo del mercato.
Complessivamente si tratta di una mobilitazione di energie e intelligenze su vasta scala che non si limita alla pur necessaria elaborazione teorica e non coinvolge solo studiosi ed esponenti del mondo accademico, ma, necessariamente, un’ampia platea di soggetti per lo più impegnati direttamente e quotidianamente, portatori di esperienza oltre che di competenze. Ed è importante che anche una sempre più ampia schiera di attori istituzionali a ogni livello, dall’ONU alle amministrazioni locali, mostri sensibilità e impegno per il cambiamento.
In quest’ambito è evidente come il Terzo Settore giochi un ruolo da protagonista. Non solo perché possiede uno straordinario patrimonio di conoscenze accumulato in decenni di esperienza su una gamma estremamente differenziata di attività svolte nei più disparati settori e territori, ma anche perché si pone su un piano spesso più avanzato rispetto agli attori economici privati e al contempo mostra un’efficacia d’azione senz’altro maggiore rispetto agli attori pubblici. Il Terzo Settore rappresenta la più importante alternativa di fronte, da un lato, alla crisi della finanza pubblica destinata a politiche di welfare e, dall’altro, alla difficoltà degli attori orientati al profitto, di farsene carico.
Recenti studi stimano che l’Economia Sociale in Europa rappresenti il 10% delle imprese europee e occupa circa il 7,4% della forza lavoro nell’Europa. Il fenomeno è cresciuto costantemente tra il 2002 e il 2010 incrementando i posti di lavoro da 11 a 14,5 milioni. Nel nostro paese, vale circa il 5% del PIL, con oltre 300mila organizzazioni che danno lavoro a quasi un milione di persone. Siamo il paese in cui storicamente l’economia sociale ha trovato un terreno più fertile. A questi si aggiunge il peso del volontariato, attualmente uno dei capisaldi del non profit in Italia, che ha da tempo superato la soglia dei 4,7 milioni di persone impegnate.
Uno dei punti cruciali su cui in molti stanno lavorando da tempo è proprio quello delle forme innovative di finanziamento a sostegno delle imprese sociali.
A livello comunitario, per esempio, in questi anni sono stati molteplici gli sforzi per cercare nuove soluzioni. Innanzitutto grazie al lavoro compiuto dai Commissari
Barnier, Tajani e Andor, e alla Social Business Initiative, alla Dichiarazione di Strasburgo o alla Social Impact Investment task force del G-7. Con lo stanziamento nel budget 2014-2020 da parte dell’unione Europea di 1 miliardo di Euro a favore delle imprese sociali, lo scenario è quello di un’Europa che punta sull’impresa sociale come volano di sviluppo sostenibile, provando a creare un contesto per attirare buoni capitali privati.
Alla pluralità di soggetti coinvolti nell’Economia Sociale corrisponde l’ampia gamma di strumenti di finanza innovativa sviluppata nel corso degli ultimi anni a loro servizio, cui anche il lavoro di produzione legislativa a livello istituzionale ha dato recentemente impulso. Loans, equity investment, Social Bond, Social Impact Bond, Development Impact Bond e securitizations.
Il microcredito, che ha radici antiche, in questo contesto ha potuto e potrà affermarsi sempre di più. Sappiamo che in Italia nel 2013, nonostante l’assenza di regolamenti attuativi, aveva raggiunto i 65 milioni di euro rispetto ai 25 milioni del 2012. Oggi, grazie al completamento dell’intero impianto normativo possiamo ragionevolmente immaginare che conoscerà un’ulteriore fase di crescita. E sappiamo che, oltre al finanziamento di iniziative imprenditoriali e di inserimento nel mercato del lavoro, il microcredito rappresenta un’opportunità fondamentale per progetti con obiettivi specificamente di carattere sociale.
La Comunità di San Patrignano, con Banca Prossima, la banca del Gruppo Intesa Sanpaolo dedicata esclusivamente al non-profit, Banca Carim, Fondazione Marche, Accenture e Vobis ha dato vita, alla fine del 2013, a un progetto di microcredito che ha l’obiettivo di sostenere la costituzione di piccole imprese da parte di quei ragazzi che, terminato il percorso di recupero in Comunità, intendono reinserirsi nella società ma soprattutto nel mondo del lavoro.
Grazie a un fondo di garanzia, costituito dalla Fondazione San Patrignano, integrato da Fondazione Marche e affidato a Banca Prossima e a Carim, i ragazzi della Comunità che intendono impegnarsi come neoimprenditori potranno accedere a finanziamenti messi a disposizione da Banca Intesa per un importo massimo di 25mila euro.
L’iniziativa ha visto il coinvolgimento diretto di educatori di San Patrignano in affiancamento ai ragazzi nella fase preparatoria e di start-up della propria impresa. Educatori formati presso la scuola di formazione per Operatori del Microcredito, promossa dalla Fondazione San Patrignano con la direzione scientifica dell’Università Bocconi di Milano.
Si tratta di un punto cruciale. L’erogazione non basta. Al contrario, il valore principale sta proprio nel generare condizioni di sostenibilità durevole dei progetti finanziati, affinché si crei un circolo virtuoso. A due anni dall’avvio del progetto, le nuove micro-imprese nate dai ragazzi usciti da San Patrignano sono attive ed economicamente stabili e ognuna di esse ha creato occupazione per circa altre 2 o 3 persone.
Impegniamoci quindi a diffondere lo strumento del microcredito, in grado di creare opportunità di lavoro in particolar modo ai giovani che in questo momento hanno bisogno di grande sostegno.