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Intervista A Monsignor Gian Carlo Perego

Vittorio Emanuele Agostinelli
Consulta Giovanile Del Pontificio Consiglio Della Cultura

Per parlare di microcredito, occupazione, imprenditorialità, migranti, giovani ed economia, abbiamo incontrato il Presidente della Fondazione Migrantes e Presidente della Commissione per le Migrazioni della Conferenza Episcopale Italiana Monsignor Gian Carlo Perego.

La Fondazione Migrantes è l’organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana per accompagnare e sostenere le Chiese particolari nella conoscenza, nell’opera di evangelizzazione e nella cura pastorale dei migranti, italiani e stranieri. Qual è la condizione oggi dei migranti o itineranti che chiedono assistenza e supporto alla Fondazione?

I migranti – oggi in Italia oltre 5 milioni – che incontriamo nelle nostre Chiese hanno vari profili: è colui o colei che lavora (circa 3 milioni di lavoratori), chi ha creato impresa (oltre 600.000, con una crescita di imprese di immigrati negli ultimi anni mediamente del 10-15%), chi cerca lavoro (il 12%), chi viene a studiare, soprattutto universitari, chi si ricongiunge con i familiari (mariti, mogli, figli), con ormai quasi 2 milioni di famiglie di immigrati, chi è in fuga da disastri ambientali, da 35 guerre, da persecuzioni e violenze, questi ultimi sono i richiedenti asilo e i rifugiati. A seconda del profilo dei migranti, le richieste che vengono alla Fondazione Migrantes e agli uffici e servizi delle Migrantes diocesane sono quelle di un lavoro, di una borsa di studio, di avviare un’attività, per lo più familiare, artigiana o commerciale, di accompagnamento ai servizi e agli sportelli – per la difficoltà della lingua, ma anche di conoscere l’organizzazione sociale o sanitaria del nostro Paese, – oppure per il rientro in patria delle persone o anche delle salme – ogni anno almeno 100 interventi – per la protezione e la tutela dei minori non accompagnati, per la richiesta di cittadinanza, ferma da anni, per avviare un percorso di protezione internazionale… Sono i profili e i servizi che il mondo della migrazione in Italia presenta. A questi si aggiunge un accompagnamento delle minoranze rom, ormai sedentarie, con la gravità dei problemi dei campi, come anche l’aiuto e il sostegno, soprattutto nell’ambito della scolarizzazione dei bambini, del mondo dello spettacolo viaggiante (fieranti e circensi), questi ultimi gravemente penalizzati dalla pandemia. Infine c’è anche il profilo del nuovo emigrante italiano – più di 5 milioni e mezzo di persone, lo scorso anno 100.000 persone in più - che incontriamo nelle nostre missioni e comunità di lingua italiana all’estero e che hanno tre profili: il giovane e adulto italiano in cerca di un altro lavoro, anche con la propria famiglia, il laureato o professionista che arriva per un lavoro già assegnato o all’interno di un’impresa italiana all’estero, lo studente universitario, per un semestre o un’annualità in una università o per uno stage o una borsa di ricerca.

Spesso i primi “esclusi” o “ultimi” della società sono proprio coloro i quali giungono in un altro Paese costretti a scappare da guerre, povertà e degrado. Con l’emergenza sanitaria da COVID-19 questa parte della società ha sofferto ancora di più. Quali sono gli strumenti di inclusione da adottare che possono significare un nuovo inizio per chi arriva in Italia?

Certamente un cambiamento di prospettiva sul piano dell’opinione pubblica, favorita da una lettura reale del fenomeno migratorio. Per questa ragione da trent’anni pubblichiamo come Caritas e Migrantes un Rapporto sull’immigrazione, da 16 anni un Rapporto sugli Italiani nel Mondo e da alcuni anni un Rapporto Asilo. Troppi sono ancora i luoghi comuni, le false coniugazioni (straniero = criminale, clandestino…) favorite da una comunicazione superficiale e ideologica. Da un’opinione pubblica formata nasce anche una politica diversa, che non si ferma alla sicurezza, ma cura la sicurezza sociale, la salute, la scuola, la tutela di chi chiede asilo. Abbiamo una legge sull’immigrazione – la legge Bossi-Fini ormai di circa vent’anni fa – costruita in tempi in cui i migranti avevano un profilo diverso, che non favorisce l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, il credito, una scuola interculturale, il ricongiungimento familiare, la partecipazione attiva dei migranti alla vita della città. Abbiamo una legge della cittadinanza ancora più vecchia – che ha circa trent’anni, quando gli emigranti in Italia erano 500.000, fondata ancora solo sullo jus sanguinis, e non anche sullo jus culturae e sullo jus soli, che vede un migrante in Italia poter accedere alla cittadinanza mediamente dopo 10-12 anni. Nonostante questa legge obsoleta già un milione e mezzo di migranti hanno ottenuto la cittadinanza: segno della volontà di condividere una vita nel nostro Paese o in Europa. Per i richiedenti asilo, poi è necessario attivare da subito non solo percorsi di accoglienza, ma anche di valorizzazione delle competenze lavorative o di studio, di ricongiungimenti familiari, di protezione e tutela dei minori non accompagnati, di accesso semplificato alla cittadinanza – soprattutto per chi rischia l’apolidia – abbandonando i CAS per unità comunitarie e familiari, diffuse nei territori che possano meglio accompagnare coloro che sono costretti a lasciare il loro Paese, con la valorizzazione anche dell’esperienza del servizio civile, delle borse studio per i molti giovani e la possibilità di trasformare un permesso di protezione internazionale in permesso di lavoro. È la coniugazione dei quattro verbi spesso ripetuti da Papa Francesco: accogliere, tutelare, promuovere, integrare.

Al 1° gennaio 2020 risiedono in Italia circa 5 milioni di cittadini stranieri, che rappresentano l’8,4% del totale dei residenti. Rispetto all’anno precedente aumentano di 43 mila unità (+0,9%). Soltanto la metà però ha un lavoro registrato. Come possiamo scongiurare che questa ricchezza culturale e di capitale umano non finisca nelle mani della criminalità organizzata?

Come dicevo 3 milioni sono i lavoratori e imprenditori, quasi un milione gli studenti del curriculum ordinario e universitari e un 12% sono i disoccupati. Il tasso dei lavoratori tra i migranti è più alto di quello degli italiani e mentre calano di oltre il 10% le imprese e gli imprenditori italiani, crescono del 15% gli imprenditori immigrati, con un modello di impresa familiare, società di persone e non di capitali, che sposa il modello italiano. Il primo problema è far incontrare domanda e offerta di lavoro, evitando così tempi di lavoro nero, sfruttamento lavorativo che vengono superati solo dalle sanatorie; favorire il lavoro stabile e non il precariato tra il mondo migrante, che genera povertà e impossibilità di ricongiungimenti familiari; la giusta retribuzione, anche attraverso il riconoscimento dei titoli di studio (oggi a parità di lavoro con un italiano un migrante riceve il 30% in meno in busta paga), oltre che le giuste tutele e sicurezze sul lavoro (in percentuale gli incidenti e le morti sul lavoro colpiscono di più i lavoratori immigrati che gli italiani). Ci sono poi alcuni mondi lavorativi che vanno particolarmente tutelati: il mondo agricolo stagionale, il mondo delle cosiddette ‘badanti’ – oltre 1 milione e 300 mila persone – con un alto tasso di irregolari.

L’Ente Nazionale per il Microcredito da diversi anni promuove l’inclusione sociale di migranti e persone che si trovano in stato di povertà, ma che hanno voglia di ripartire, costruire e generare lavoro, finanziando loro con progetti e formazione di avviamento all’impresa. Può essere il microcredito una delle risposte della lotta alla povertà e all’inclusione sociale dei migranti?

Il microcredito, a cui la stessa Fondazione Migrantes da anni sensibilizza i migranti, che è stato alla base anche della ripresa economica nel nostro Paese nel ‘900 – con le banche popolari, di credito cooperativo, le casse…- può diventare certamente un utile strumento non solo per le attività di impresa, ma anche per lo studio, il ricongiungimento familiare che spesso è possibile solo attraverso l’accesso a una nuova casa. Il microcredito può anche aiutare i lavoratori immigrati a diventare imprenditori, soprattutto nel mondo femminile, come dimostrano le statistiche. Abbiamo tante attività artigianali, agricole, commerciali di tipo familiare che possono essere salvate solo attraverso questo passaggio. Il microcredito diventa così anche uno strumento per la sicurezza sociale e favorisce la stabilità e l’attrazione delle migrazioni che, unitamente a una nuova politica familiare e delle nascite, sono i due elementi su cui poggia il futuro del nostro Paese. Per la lotta alla povertà il ritorno al reddito d’inclusione o di cittadinanza – che ha visto beneficiari l’8% degli immigrati, contrariamente a quanto si legge – se collegato a forme di collegamento tra scuola e lavoro, formazione professionale e nuovo apprendistato può costituire un utile strumento alla lotta alla povertà e all’ingresso nel mondo del lavoro.

In Italia e più in generale nell’Unione Europa con il New Green Deal e il Next Generation EU nei prossimi anni si interverrà strutturalmente su welfare, sanità e lavoro. Quali sono secondo Lei le prossime sfide che gli stati e la società in generale deve vincere per valorizzare e non escludere i migranti e gli itineranti in difficoltà?

Favorire in tutti i modi la mobilità e la libera circolazione, dove l’identificazione e la sicurezza non indeboliscano la tutela e la promozione delle capacità dei migranti; realizzare un percorso di solidarietà europea attorno all’accoglienza e alla promozione dei migranti e dei richiedenti asilo; abbandonare la politica dei muri scelta ormai da dieci Paesi europei per fare dei confini il luogo di incontro, conoscenza, protezione e valorizzazione di chi chiede protezione internazionale: la vera sicurezza è l’incontro e non lo scontro, la conoscenza e non il rifiuto; favorire in Europa il dialogo fra culture di 200 Paesi del mondo, una scuola interculturale – quali sono le nazionalità dei migranti in Italia e in Europa – e la libertà religiosa, il dialogo ecumenico e interreligioso, che sono a fondamento della pace e della giustizia. Una nuova generazione europea non potrà che essere anche figlia di giovani migranti che scelgono talora l’Europa non solo per il lavoro, ma per una nuova storia familiare, una nuova partecipazione alla vita della città, una democrazia da sperimentare.

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