I Centri Anti Violenza E Il “microcredito Di Libertà”
Alessia Radicioni
Responsabile Area Tutor ENM
I CENTRI ANTI VIOLENZA E IL PROGETTO “MICROCREDITO DI LIBERTÀ”
Parole chiave: Microcredito di Libertà, violenza economica, stay-leave decision,
Centro Anti Violenza, fuoriuscita dalla violenza, empowerment, cambio di paradigma
Lavorare per e con le donne che hanno subito violenza rappresenta sempre, per tutte le figure coinvolte, una sfida professionale altissima per le emozioni che necessariamente si attivano, per la complessità e la varietà dei bisogni di cui esse sono portatrici e anche perché la ricerca delle “soluzioni” da proporre e condividere deve tener conto, in modo molto lucido, delle difficoltà oggettive ed “esterne” alla donna che talvolta sono potenzialmente d’ostacolo nei suoi tentativi di affrancarsi dalla spirale della relazione violenta.
Anche pensare il progetto “Microcredito di Libertà per l’emancipazione economica delle donne che hanno subito violenza”, nato dal Protocollo d’Intesa tra la Presidenza del Consiglio dei ministri - Ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia, Ente Nazionale per il Microcredito, ABI, Federcasse e Caritas Italiana, è stata una sfida, così come attuare la prima fase della sua realizzazione; tutti i soggetti coinvolti, a partire dalle potenziali beneficiarie, dai Centri Anti violenza fino agli stessi partner di progetto, sono stati chiamati in un certo senso a modificare il proprio “sguardo” sulle donne che hanno subito violenza e in alcuni casi (mi riferisco soprattutto alle banche che hanno aderito e partecipato con entusiasmo al progetto) addirittura a modificare il proprio modus operandi, creandone uno nuovo ad hoc.
Elementi che influiscono sull’uscita dalla violenza
Se fino agli anni ’60, per spiegare lo scarso numero di donne che si separavano dai maltrattanti, venivano utilizzate prevalentemente categorie di derivazione psicoanalitica, come il masochismo e il bisogno inconscio di punizione, negli ultimi 40 anni la ricerca ha messo in discussione questo approccio di “psicologizzazione abusiva”, ponendo invece l’attenzione sul condizionamento legato ai ruoli di genere, sugli atteggiamenti sessisti diffusi in tutti i livelli della società, sulle condizioni economiche della donna che subisce o ha subito violenza, sull’assenza di una rete sociale di supporto, sulla tutela spesso inadeguata della sicurezza personale nel caso in cui la donna abbandona gli atteggiamenti di remissività e sottomissione (utilizzati come risposte inizialmente adattive al pericolo) e prova ad allontanarsi dal rapporto violento.
Gli studi più recenti sulla tematica della “stay-leave decision”, continuando a considerare fondamentali i fattori socio-ambientali appena elencati, hanno anche rilevato l’importanza di aspetti di natura cognitiva che agiscono potentemente sulla decisione di uscire o meno da una relazione in cui subisce violenza. Scarse informazioni (ad esempio, scarsa conoscenza di ciò che può costituire reato e dei propri diritti in caso di separazione/divorzio), credenze erronee spesso insinuate dallo stesso maltrattante sotto forma di minaccia (ad esempio: “se te ne vai non rivedrai più i tuoi figli”, “senza prove non ti crederà nessuno”), messa in atto di processi di normalizzazione degli eventi, percezione del pattern della violenza come stabile (mancati episodi di escalation e periodi di “luna di miele” tra la coppia, tipici del ciclo della violenza), modalità di attribuzione di cause e responsabilità incidono infatti fortemente nel processo di decision making; su questi elementi si deve necessariamente intervenire, così come sui pensieri-ostacolo disfunzionali che impediscono alla donna di emanciparsi dalla violenza. Credersi responsabile, avere o arrivare ad avere un’idea di sé come non amabile, inadeguata e incapace, ad esempio, non aiuta di certo ad intraprendere il lungo, lento e faticoso percorso di uscita dalla violenza. L’intrappolamento in un legame violento avviene gradualmente e anche la sua interruzione non può essere descritta come un evento con un inizio e una fine ben definite, bensì come un processo; processo, oltretutto, non lineare, con temporanee interruzioni, dubbi, strategie preparatorie, ripensamenti e regressioni, che inizia prima della separazione fisica dal maltrattante e che prosegue ben oltre la separazione stessa, orientato e influenzato non solo dai cambiamenti sul piano emotivo e cognitivo (nella percezione della donna di se stessa, dell’uomo violento, del loro rapporto), ma anche dai fattori socio-ambientali che possono intervenire ad ostacolare o a facilitare la donna in questo percorso, fiaccando o sostenendone la motivazione.
La mission dei Centri Anti Violenza e del Microcredito di Libertà
Compito dei Centri Anti Violenza (CAV) e delle Case-Rifugio è quello di accompagnare la donna e sostenerla almeno in una parte di questo processo. La sua richiesta di aiuto può arrivare in qualunque fase (mentre è ancora all’interno della relazione, quando ha deciso di separarsi e sta iniziando a farlo, nel post-separazione) e richiede dunque una risposta specifica legata alla fase stessa. In ogni caso, l’obiettivo del supporto fornito dalle operatrici dovrebbe essere quello di promuovere e facilitare quei cambiamenti, a livello emotivo, cognitivo e comportamentale, che portano verso una maggiore capacità di tutelare la propria sicurezza (e quella di eventuali figli), che contrastano il processo di vittimizzazione e che consentono di costruire un progetto realistico di vita autonoma e libera dalla violenza.
Il progetto “Microcredito di Libertà”, considerata in particolare la diffusione e le conseguenze di quella forma subdola di violenza che è la violenza economica, è nato proprio per promuovere l’inclusione sociale e finanziaria delle donne e la loro emancipazione da forme di sudditanza economica, per offrire ulteriori opportunità volte alla costruzione e al perseguimento di un progetto individuale di autonomia. Sono stati resi dunque disponibili strumenti di tipo formativo (corsi gratuiti online di educazione finanziaria e di autoimprenditorialità) e strumenti finanziari, quali il microcredito sociale di Libertà e il microcredito imprenditoriale di Libertà. La costituzione del Fondo per il Microcredito di Libertà, a valere su risorse del Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO), ha permesso di garantire completamente i prestiti di microcredito sociale e di abbattere integralmente il tasso di interesse (TAEG) a carico delle donne beneficiarie, sia sulle operazioni di microcredito sociale che su quelle di microcredito imprenditoriale.
Le due misure del Microcredito di Libertà, pur essendo molto diverse tra loro rispetto ad importi e finalità specifiche (fino ad un massimo di €10.000 il microcredito sociale, utilizzabile dalle donne in condizioni di vulnerabilità economica per far fronte alle correnti necessità personali e/o familiari, e fino ad un massimo di € 50.000 il microcredito imprenditoriale, rivolto a donne titolari di partita iva per sostenere l’avvio o l’esercizio di iniziative autonome di microimpresa o di lavoro autonomo), sono accomunate dall’erogazione gratuita dei servizi ausiliari di tutoraggio e monitoraggio da parte di Tutor di microcredito, affinché le beneficiarie possano ricevere il necessario supporto non soltanto prima dell’erogazione, ma anche successivamente ad essa, in modo da consolidare e conservare in futuro l’indipendenza economica raggiunta. Altro elemento che accomuna i due strumenti è la necessaria restituzione tramite ammortamento in rate mensili da parte di chi ne usufruisce. Non si tratta dunque di erogazioni a fondo perduto, ma di strumenti finanziari che prevedono la resa della somma ricevuta, seppure con le agevolazioni previste dal progetto ed illustrate nel regolamento del Fondo per il Microcredito di Libertà.
Scegliere il microcredito come opportunità da offrire alle donne supportate dai CAV e dalle Case-Rifugio, ovviamente, ha avuto un significato ben preciso. Il DPO ha voluto infatti realizzare un progetto che operasse un cambiamento di paradigma a fronte di quello attualmente esistente rispetto alla “vittima di violenza maschile”, e i partner di progetto hanno sposato e condiviso immediatamente questa volontà: non più l’idea di una donna passiva, immobile, che subisce gli eventi drammatici che la vita può riservare e resta ferma e dipendente, ma quella di una donna che, anche grazie all aver sentito accolte le proprie problematiche, all’aver ricevuto assistenza nel momento di emergenza e di massimo pericolo (si pensi al ruolo cruciale svolto dalle Case Rifugio) e il sostegno necessario a convincersi che dalla violenza si può uscire, riesce pian piano a riprendere in mano le redini della propria vita e a cogliere le opportunità disponibili. Una donna che torna ad essere economicamente autonoma e che si impegna per poter raggiungere gli obiettivi e rispettare gli impegni presi, in primis con se stessa ma anche con lo Stato che le ha dato fiducia, che la incoraggia a non sentirsi più vittima e che vuole che non sia più identificata come “vittima” dalla società.
Il ruolo dei Centri Anti Violenza nel progetto
Così come nel quotidiano, anche nel progetto “Microcredito di Libertà” i CAV e le Case-Rifugio svolgono un ruolo fondamentale. Infatti, le operatrici informano le donne rispetto agli strumenti utilizzabili e soprattutto, forti del rapporto di fiducia e della conoscenza dei bisogni e dei desideri delle donne prese in carico, individuano coloro che, avendo già raggiunto determinati obiettivi nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, potrebbero usufruire vantaggiosamente delle opportunità offerte. Illustrano quindi alle donne che ritengono pronte i contenuti dei corsi di formazione, presentano le finalità del microcredito sociale o del microcredito imprenditoriale a seconda delle loro necessità e delle loro ambizioni; se si mostrano interessate, le operatrici segnalano i nominativi all’Ente Nazionale per il Microcredito (ENM) tramite una piattaforma informatica appositamente creata. L’ENM procede poi, a seconda dell’interesse espresso, ad inserire le donne in una classe per fruire dei corsi di formazione o a coinvolgere i Tutor di Caritas Italiana per le richieste di microcredito sociale e i Tutor dell’associazione di volontariato Unigens per quelle di microcredito imprenditoriale.
Presentare le proposte del Microcredito di Libertà al momento opportuno, senza forzare le situazioni, è una delle chiavi della buona riuscita del progetto stesso. Soltanto quando il senso di continua allerta per una minaccia reale è cessato, soltanto quando si iniziano a ri-conoscere e riscoprire le proprie competenze, quando torna a rinsaldare il senso di autoefficacia e le risorse interne, emotive e mentali, possono essere indirizzate verso un nuovo progetto di vita libero dalla violenza, soltanto allora chi ha temuto per la propria sicurezza e ha visto disintegrarsi giorno dopo giorno la propria autostima, chi si è ritrovata completamente dipendente da un uomo che ha esercitato violenza economica, pagandone le conseguenze ben oltre l’interruzione del rapporto, potrà mostrare una buona disposizione ad usufruire del Microcredito di Libertà. Non prima. Avvalendosi del supporto dei Tutor, potrà verificare se il suo bilancio familiare le consente di chiedere un prestito personale per pagare l’affitto di una nuova casa, oppure per frequentare un corso professionalizzante o ancora per saldare delle spese rimaste in sospeso, ed eventualmente migliorarne la gestione, oppure se la sua idea imprenditoriale risulta valida e sostenibile o necessita di qualche aggiustamento, predisponendo un adeguato business plan. Il Microcredito di Libertà può rappresentare dunque la soluzione che subentra nel momento in cui ci si sente più pronte per affrontare il futuro, in cui anche le operatrici riscontrano nelle donne la presenza di tali rinnovate risorse e quando la fase dell’assistenza necessariamente termina.
Questo aspetto legato al giusto tempo, in un contesto in cui spesso molto si gioca sul piano dell’emergenza, è stato uno dei temi affrontati negli 11 webinar di informazione/formazione organizzati e condotti dallo staff di progetto dell’ENM, cui hanno partecipato più di 170 CAV e Case-Rifugio da varie regioni d’Italia. Durante gli incontri sono stati poi presentati nel dettaglio i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi di formazione, i requisiti necessari per l’accesso al microcredito sociale e imprenditoriale di Libertà, i rispettivi fondi di garanzia, i tempi e le modalità di restituzione dell’importo richiesto, nonché il ruolo dei Tutor nella fase istruttoria e di monitoraggio per entrambe le misure, affinché le operatrici potessero condividere tali contenuti con le altre colleghe e, soprattutto, potessero trasferirli alle donne potenziali beneficiarie del progetto.
I webinar hanno rappresentato un momento di incontro e confronto prezioso per lo svolgimento della prima parte di questo progetto, in quanto sono stati utili alle operatrici per dissipare i timori iniziali legati alla scelta di uno strumento finanziario da proporre ad un target così complesso e vulnerabile; ciò è stato possibile sia grazie alle spiegazioni ricevute in merito al funzionamento del Fondo del Microcredito di Libertà e al fondamentale ruolo svolto dai Tutor, sia grazie ad un approfondimento e a una maggiore comprensione dello spirito che anima il “Microcredito di Libertà”. Offrire a chi ne sarebbe escluso, perché priva delle necessarie garanzie, la possibilità di accedere al credito e chiederne la restituzione significa in primo luogo credere nella capacità di una restituzione e dare fiducia a chi lo ottiene. Ricevere un prestito anziché un “dono” modifica anche la percezione della beneficiaria: investire una persona di un’aspettativa può infatti contribuire a conferirle maggior senso di autostima e considerazione di sé come capace e meritevole. L’aspettativa altrui evoca inoltre il desiderio di non deludere, per confermare (anche a se stessi) la correttezza e la fondatezza del giudizio positivo e dell’aspettativa di cui si è stati oggetto. Il contratto di credito che si stipula con i soggetti erogatori coinvolti nel progetto codifica ed esplicita in modo preciso ciò che ci si aspetta dalla donna che riceve in prestito il denaro, come e quando l’obbligazione sarà estinta, offrendo dunque un ulteriore elemento che va a contrapporsi fortemente al senso di incertezza e imprevedibilità che caratterizza le relazioni violente. Queste riflessioni, che rappresentano le fondamenta del progetto, convergono indiscutibilmente con uno dei principali obiettivi che CAV e Case Rifugio dovrebbero perseguire, vale a dire aumentare l’empowerment delle donne che hanno subito violenza.
Per lo staff di progetto, il contatto con le tante operatrici partecipanti ai webinar ha consentito di avere una visuale più ampia sulla realtà poliedrica e assolutamente non uniforme dei CAV e delle Case Rifugio, impegnati in prima linea nella lotta alla violenza di genere. Il dialogo ha consentito di accogliere i suggerimenti proposti e, come si diceva, di superare le iniziali diffidenze, permettendo così l’avvio di una proficua collaborazione in favore delle donne.