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LA SFIDA DEL MILLENNIO: SOSTENERE I GIOVANI PER FAR CORRERE L’ECONOMIA. IL MICROCREDITO TRA LA DOTTRINA SOCIALE, AGENDA2030 E NUOVE TECNOLOGIE
Il microcredito è uno strumento potente. Nella sua dimensione politico-sociale possiamo interpretarlo come un insieme di attività che offrono all’utente, all’istituto di credito e allo Stato, opportunità che altrimenti potrebbero generare disagio sociale, mentre così canalizzate diventano un motore di sviluppo collettivo e di indipendenza individuale.
La via italiana alla microfinanza studiata dall’Ente Nazionale per il Microcredito è un insieme di attività finanziarie, educative, formative, di sostegno alla persona e all’auto impresa che diventano fondamentali per colmare un gap educativo che spesso non permette di immettersi nel mercato in modo corretto, e che va a colmare anche quell’abisso che c’è tra coloro che hanno un accesso al credito ordinario e coloro che non hanno possibilità ma hanno capacità e idee valide. Nella mission dell’Ente è dunque racchiusa quell’attività fondamentale che vede nella formazione dell’individuo e nel suo accompagnamento nel percorso di impresa, una dinamica vincente che produce un effetto win-win, che va oltre il binomio imprenditore istituto finanziario. Investire sulla persona, sulle sue capacità, sulla sua progettualità che lo vede come proiezione all’interno di un tessuto economico sociale fatto di piccole medie imprese che possono anche adire a uno spazio di mercato più ampio di quello territoriale fino alla scalata al mercato globale grazie al e-commerce, alle nuove tecnologie, è di fatto una realtà che il microcredito si sostanzia attraverso un percorso che nasce dalla capacità degli individui di mettersi in gioco e dei professionisti, che hanno conoscenze specifiche, di formare e accompagnare queste richieste. Se le radici storico-culturali del Microcredito affondano in quella economia sociale di mercato che considera centrale il sostegno a quelle fasce sociali cosiddette deboli, non bancabili, problematiche, di nicchia e quasi reiette da una competizione economica sempre più tecnologica e burocratizzata, oggi la vera sfida è quella di formare i giovani per conquistare il proprio posto nel sistema economico e garantire un ricambio generazionale e una solidità economica che possa essere motore per l’intero Paese nella considerazione che l’Italia è pur sempre una Repubblica fondata sulla piccola piccolissima e media impresa per la maggior parte del suo territorio.
In questo quadro così complesso uno strumento come il microcredito, nelle sue attività di educazione finanziaria diretta e indiretta, sostegno all’impresa e alla persona, si erge come una struttura indispensabile per lo sviluppo. Questo stesso strumento è infatti un ponte tra attività finanziarie e non finanziarie, che concorrono alla realizzazione di più obiettivi dell’Agenda 2030, fermo restando che l’obiettivo di questo strumento è la eradicazione della povertà e dell’esclusione sociale e finanziaria, che allo stesso tempo è citato nell’articolo 8 che si occupa di dignità nel lavoro.
Se ci chiediamo che cosa significhi oggi sostenere il lavoro dignitoso dobbiamo necessariamente ricondurci alla libertà individuale garantita da una indipendenza economica che può essere costruita attraverso il lavoro. È questo l’obiettivo, questo lo scopo primario dello strumento microfinanziario.
Oggi l’economia corre a due velocità: quella delle grandi aziende che implementano sempre più strumenti di intelligenza artificiale generale e le piccole medie imprese che affrontano una quotidianità fatta di artigianato, lavoro manuale e attività, che implicano necessariamente una digitalizzazione di base per un confronto con il sistema bancario, con lo Stato e la burocrazia, ma che non va oltre le necessità di un comparto relativo alla fiscalità d’azienda. I temi per lo sviluppo delle nuove attività d’impresa passano attraverso una riconversione delle vecchie aziende e una educazione finanziaria che va oltre, comprendendo una digitalizzazione di base, che possa adattare le competenze alle nuove esigenze di sviluppo di impresa, ancorché sia necessario creare un sistema di formazione di base per tutti coloro che vogliono avviare un’attività.
Se fino ad oggi le competenze informatiche, digitali di sicurezza, e privacy erano considerate strumenti facoltativi che permettevano uno sviluppo e una maggiore performance dell’impresa, oggi diventano la dirimente tra la sopravvivenza e il fallimento di un’impresa. Purtroppo le statistiche non sono a favore del nostro Paese che subisce ancora un grande peso del digital divide. L’Italia soffre per la carenza di competenze economiche e digitali. L’Ente sta progettando di implementare percorsi per sostenere l’autoimprenditorialità con la creazione di una coscienza competente: l’idea è quella di formare imprenditori che sappiano confrontarsi con entrambi i mondi per poter sopravvivere e sfruttare al meglio le potenzialità dei loro progetti.
Esistono enormi lacune nelle competenze di base in alfabetizzazione e calcolo delle popolazioni in età lavorativa, poiché 750 milioni di persone di età pari o superiore a 15 anni (ovvero il 18% della popolazione mondiale) dichiarano di non saper leggere e scrivere, con stime quasi doppie se l’alfabetizzazione viene misurata attraverso valutazioni dirette. Le valutazioni internazionali su larga scala delle competenze degli adulti evidenziano generalmente discrepanze tra le competenze e ampie variazioni nei rendimenti dell’istruzione tra campi di studio, istituzioni e gruppi di popolazione.
Megatrend quali l’automazione, la lotta al cambiamento climatico, la digitalizzazione di prodotti e servizi, una forza lavoro in calo e invecchiamento trasformeranno oltre 1,1 miliardi di posti di lavoro nel prossimo decennio.
Circa il 23% delle aziende cita le competenze della forza lavoro come un limite significativo alle proprie attività. In alcuni Paesi africani e latinoamericani, questa percentuale sale al 40-60%. La maggior parte dei Paesi africani e dell’Asia meridionale non dispone di dati sulle competenze della forza lavoro. Si stima che l’economia globale potrebbe guadagnare 6,5 trilioni di dollari nei prossimi sette anni colmando il divario di competenze dei lavoratori, che rappresenta il 5-6% del loro PIL. Ciononostante, la maggior parte dei Paesi investe meno dello 0,5% del prodotto interno lordo globale nell’apprendimento permanente degli adulti1.
Nonostante l’importanza delle competenze digitali, l’Italia si trova in una situazione arretrata rispetto alla media europea. I dati mostrano che: il 58,5% dei giovani tra i 16 e i 29 anni ha competenze digitali almeno di base, rispetto alla media UE del 70,7%. Si registra un divario tra il nord e il sud del Paese, con il mezzogiorno che presenta tassi di alfabetizzazione digitale inferiori. Esiste un divario di genere, con gli uomini che tendono ad avere competenze digitali leggermente superiori rispetto alle donne, sebbene questo divario si riduca tra le generazioni più giovani. Le competenze digitali sono un fattore determinante per il futuro dei giovani e per lo sviluppo del Paese. È quindi fondamentale investire nella loro promozione, garantendo a tutti i giovani le opportunità di sviluppare le competenze necessarie per affrontare le sfide del mondo digitale e diventa fondamentale sviluppare percorsi formativi specifici per i giovani, che siano in grado di fornire competenze digitali avanzate e specifiche per il mercato del lavoro. Questo è il core dei progetti che l’Ente sta proponendo e che vuole sviluppare nel prossimo triennio a vantaggio di un mercato del lavoro che si popoli di under 35 formati all’autoimprenditorialità e pronti a cogliere le sfide e le opportunità che il mercato nazionale, europeo e globale prospettano.
Nota
1 https://www.worldbank.org/en/topic/skillsdevelopment